Le foto della Grande Guerra ad Aurisina
TRIESTE. Un amarcord tragico, non ancora abbastanza noto e analizzato: così si presenta “La grande guerra in casa”, composita, articolata e documentatissima rassegna allestita al Centro d’Arte e Cultura Skerk di Aurisina (Ternova Piccola 15) sugli esiti del primo conflitto mondiale sul territorio del Comune di Duino-Aurisina (allora 5 piccoli comuni e 5104 residenti in tutto). Vi è narrata la vita della popolazione civile e dei soldati che operarono con ingentissime perdite in quella zona, colpita con violenza in quanto retrovia del fronte dal 24 maggio 1915 al 27 ottobre 1917, quando questo si trasferì sul Piave. «Una mostra che mi è costata un anno di lavoro, sostenuta da una volontà di ferro», precisa l’avvocato Giuseppe Skerk, classe 1923, deus ex machina dell’iniziativa, nonché presidente dell’associazione “Hermada-Soldati e civili”, cui si deve l’organizzazione. Tra gli oggetti esposti, anche le valigie in cartone dei profughi e le testimonianze della genialità di Porsche, inventore del treno benzoelettrico C-Zug per le artiglierie pesanti, dotato di carro generatore.
Allora molti villaggi come S. Giovanni, Medeazza, Duino, Ceroglie e Malchina, industrie ed edifici pubblici vennero rasi al suolo. Altri, come quelli di Aurisina, Slivia, S.Pelagio, Precenico e Prepotto, ne rimasero sconvolti: distruzione, dolore, sangue e morte sono testimoniati, con numerosi inediti, attraverso l’ingrandimento di oltre 350 foto e cartoline d’epoca, più di 40 granate italiane e austroungariche di tutti i calibri, uniformi, artigianato di trincea e altri reperti. Un mondo efficacemente rievocato nel libro “Addio alle armi” da Ernest Hemingway, che ne dipinse un affresco indimenticabile, umanissimo e anche romantico, lo stesso delle immagini in mostra: dal bambino che, in mezzo ai soldati, fuma una sigaretta, ai sorrisi delle giovani donne che posano nel cortile di una tipica casa carsica assieme ai militari austriaci, felici per un attimo in mezzo a tanto orrore.
Il racconto prende il via dall’”Austria felix”, quando tra le località predilette dalle classi abbienti per svernare o villeggiare dalle nostre parti, oltre a Grado e Gorizia, c’era la baia di Sistiana con ben tre alberghi. Ma il sogno s’interrompe nel 1914 con l’attentato di Sarajevo e lo scoppio della prima guerra mondiale, cui l’Italia aderisce nel 1915, schierando alle foci dell’Isonzo, e cioè a Punta Sdobba, Isola Morosini e paraggi, cannoni di vario calibro verso il Carso. Gli austriaci si attestano con reticolati a partire dal territorio carsico immediatamente antistante l’attuale stazione di Monfalcone, verso l’interno. Le granate - quelle normali e quelle della Marina, ancor più perniciose perché scoppiavano “nel cuore” del bersaglio - vengono lanciate in 11 offensive italiane.
Duro il contraccolpo della guerra sulla popolazione civile: molti partono, in modo coatto o volontario per campi profughi come quello di Wagna in Stiria, che poteva ospitare fino a 18.500 persone; altri vengono accolti altrove da parenti o rimangono e partecipano alla vita delle retrovie: le donne sono mobilitate per assistere i feriti negli ospedali. Uno di questi fu creato proprio nella locanda gestita allora dagli Skerk, dove oggi c’è la galleria d’arte. I soldati moribondi - rammentavano con emozione la madre e le zie di Giuseppe Skerk - invocavano sempre la mamma e chiedevano “acqua”. Da questi ricordi, l’idea della toccante rassegna.
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