Le foto che fanno storia scelte da Italo Zannier

Fino al 26 agosto a Pordenone la mostra "Italo Zannier. La sfida della Fotografia. Un inedito racconto per immagini”, 200 foto selezionate dal grande storico e critico nativo di Spilimbergo

PORDENONE Una grande mostra, articolata e complessa, promossa e organizzata dal Comune di Pordenone, viene dedicata negli Spazi espositivi di via Bertossi 9 - Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea “Armando Pizzinato”, a una delle figure più importanti a livello nazionale e internazionale, di quest’arte, ancora non abbastanza reputata in Italia come tale: Italo Zannier, fotografo, critico e storico della fotografia, studioso tra i maggiori a livello italiano e mondiale, autore di circa 600 saggi e di un centinaio di libri “che pochi leggono”, come sottolinea con vis un po’ amara l’autore stesso. Temperamento vivacissimo, brillante e appassionato, nei giorni vicini alla vernice Zannier ha festeggiato gli ottant’anni (è nato il 9 giugno 1932 a Spilimbergo), età che porta in modo “gagliardo”, ed è stato insignito dal sindaco del sigillo della città.

“Italo Zannier. La sfida della Fotografia. Un inedito racconto per immagini”, questo il titolo della composita rassegna, ideata dallo stesso Zannier, cui si deve anche l’impostazione generale e progettuale, si svela particolarmente interessante per il denso e icastico, nel contempo agile e affascinante percorso condotto attraverso i molteplici, caleidoscopici aspetti e toni dell’arte fotografica soprattutto italiana, che l’autore difende e valorizza con entusiasmo e che si dipana anche mediante numerosi, illuminanti e inediti accostamenti. La rassegna è accompagnata da un elegante ed equilibrato catalogo, che riassume la mostra, il pensiero e la profondissima, amorosa competenza di Zannier, sino a trasformarsi, grazie anche a un sintetico ed efficace preludio di Denis Curti e a una post-fazione di Renato Barilli, in una sorta di sintetica ma al tempo stesso analitica enciclopedia ragionata della fotografia, di facilissima e gradevole lettura. Merito del racconto colloquiale che Zannier sa intrattenere con il lettore e con gli artisti ospitati nel volume. Tra questi, compaiono punte di diamante italiane dell’arte fotografica internazionale, tra cui Berengo Gardin, Branzi, Reuter, Jodice, Guidi, Gastel e altri, già presenti al Guggenheim di New York nella grande rassegna curata da Germano Celant, “The Italian Metamorphosis” del 1994-95, nella quale Zannier “inaugurò” la Sala Mapplethorpe con 100 fotografie dei nostri emergenti. Ma anche qualche grande “ospite” straniero come Henry Cartier Bresson. Tra i più di 200 fotografi dalle origini (leggi 1839) a oggi, presenti nel catalogo e in mostra, lo studioso inserisce alcuni “prediletti” come Paolo Gioli, Guido Guidi e Paolo Vidoni, capace quest’ultimo di un’ironica costruzione della scena; i fotografi di “architettura” Alinari, Paolo Monti e Gabriele Basilico, e poi il ritratto della bella Elisabetta Catalano, Fabrizio Plessi, Elio Ciol e altri, come Sergio Del Pero, “da affrancare dal pregiudizio del ghetto amatoriale”.


E ci sono anche i triestini Tullio Stravisi, Donato Riccesi e Mario Sillani Dejerrahan Le più di 300 immagini in mostra evocano tutte le conquiste tecniche e le dissertazioni stilistiche, dal pittorialismo al concettuale, raggiunte nel corso di 170 anni: dall’invenzione di Daguerre e Fox Talbot del 1839 (che Zannier considera data di nascita ufficiale della fotografia), alla pellicola Kodak (1889) e alla piccola Leica degli anni ’30, fino alle foto a colori di un decennio dopo, coinvolte nella Pop Art degli anni ’50; al digitale, con cui, scrive Curti, la fotografia “attraversa definitivamente la soglia del palazzo dell’arte”. Ed ecco quindi il titolo della rassegna, che accenna a una sfida che prosegue ancora, oggi affacciata alle novità e alle opportunità offerte dal web: “sta per essere vincente” afferma Zannier “perché fra qualche decennio tutto sarà fotografia o quello che viene dopo e che non conosciamo ancora”.

La mostra, che si apre con foto storiche degli anni ’30 provenienti sia dal contesto nazionale che internazionale, si conclude simbolicamente con una sezione dedicata all’attività fotografica di Zannier, cui Italo si è dedicato dal ‘53, dopo un brevissimo passato impiegato in studi di architettura e come valente pittore (ma lui minimizza…), a giudicare dal ritratto a olio della nonna Lucia del ’49: passione evidentemente non spenta, se in catalogo è testimoniato anche un suo dipinto espressionista del 2006… Le sue foto esposte sono di grande pathos e bellezza e culminano nella splendida “Donna carnica” del ’53, che meritò all’autore molti premi, tra i quali uno internazionale a Poznan (Polonia). In mostra incontriamo anche una cinquantina d’importanti, antichi e rari volumi, tra cui degli incunaboli unici, provenienti dal nuovo archivio personale di Zannier (che spazia dall’800 a oggi), poichè il precedente, raccolta d’inestimabile valore, è stato acquisito nel 2007 dalla Fondazione Venezia: libri che - precisa l’autore - rappresentano gli emblemi della letteratura sulla fotografia. Non una mostra tematica dunque, bensì un percorso cronologico e didattico. Didatta, per altro Zannier lo è stato dal 1971, primo italiano a insegnare “Storia della Fotografia” all’università: da Ca’ Foscari a Venezia al Dams di Bologna, alla Cattolica di Milano, per citarne solo alcune. Insignito di numerose onorificenze, ha curato, tra l’altro, la sezione fotografia di varie biennali veneziane.

L’esposizione - afferma infine il fotografo, che l’ha curata con Denis Curti e la collaborazione di Marco Minuz - va vista come una lezione di storia della fotografia. Vi sono infatti esposte anche immagini apparentemente banali, che però fanno parte della sua storia profonda. Ognuna ha un suo significato dal punto di vista della tecnica, della riproduzione, della trascrizione a inchiostro e nasce da un processo tecnologico che è della modernità, poiché la fotografia è l’elemento base della modernità. «Ed ecco la necessità - conclude Zannier - di una cultura della fotografia, per saperla decodificare tra le righe. Nessuno leggerà mai Proust per il valore delle singole parole, ma per quello che c’è tra una parola e l’altra. E così la fotografia». ©RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © Il Piccolo