Le dighe funzionano ma il lago a Doberdò rimane senza fondi
DOBERDO' Anche il progetto di salvaguardia del lago di Doberdò è al momento tra le vittime del Covid-19. I fondi assicurati ancora all’inizio di marzo dalla Regione sia al Consorzio di bonifica per la realizzazione di micro sbarramenti attorno agli inghiottitoi del lago, in modo da mantenere un certo livello dell’acqua anche nei momenti di magra, sia al Dipartimento di Scienze della vita dell’Università di Trieste per uno studio sulla vegetazione sembra siano stati dirottati in seguito all’emergenza sanitaria. È quanto emerso martedì sera a Jamiano, nella sede dell’associazione Kremenjak, durante un incontro organizzato dal gruppo formato da speleologi, docenti e studenti universitari, professori e allievi dell’Isis Brignoli di Gradisca che da tre anni si sta occupando di studiare lo specchio d’acqua così da individuare gli strumenti per evitare che scompaia.
L’azione non si è fermata del tutto, grazie all’impegno e alla passione del gruppo di lavoro, ma la costruzione delle opere di sbarramento nel lago rimane per ora congelata. «Non abbiamo al momento alcun finanziamento per procedere seriamente con lo studio, ma stiamo comunque continuando il lavoro di analisi attraverso le immagini satellitari – spiega Alfredo Altobelli che con Miris Castello, entrambi del Dipartimento di Scienze della vita, segue da tempo la situazione vegetazionale dell’area –, grazie anche alla disponibilità di un tesista di laurea magistrale».
Capire le reazioni del mondo vegetale è però fondamentale per stabilire l’altezza delle dighe, sperimentate con successo un anno fa, nel mese di ottobre, grazie all’intervento del Consorzio di bonifica in seguito ai tre tracciamenti delle acque del lago effettuati dagli speleologi assieme al Dipartimento di Matematica e Geoscienze. È quanto sottolineato anche Luca Zini, docente del Dipartimento di Matematica e Geoscienze, impegnato da subito nel progetto, che il gruppo interdisciplinare Acque carsiche isontine si prepara a proseguire a fine mese con un quarto tracciamento delle acque. Questa volta l’operazione interesserà l’inghiottitoio a metà della sponda meridionale e in un regime di media portata, che richiederà una dispersione in immersione di un quantitativo maggiore di fluorescina.
«L’obiettivo questa volta è di capire se il tracciante e quindi le acque del lago, alimentato in parte dall’Isonzo, quando la portata è maggiore, escono anche a Pietrarossa – dice Zini –, non prendendo solo una direzione sudorientale e andando a confluire anche nel Timavo. Tant’è che nei periodi di piena del Timavo il livello del lago pare alzarsi». Il quarto tracciamento delle acque, in programma salvo condizioni meteo proibitive, dovrebbe quindi essere realizzato tra un paio di settimane, con prelevamento di campioni lungo il canale di entrata e di uscita dal lago di Pietrarossa, ma anche negli altri punti già sottoposti a monitoraggio nelle precedenti tre campagne di studio, cioè Sablici, Sardos, Timavo, Moschenizze Nord, oltre che grotta di Comarie e Klarici (coinvolgendo quindi sempre il Servizio geologico e gli speleologi sloveni.
Pare che in questo caso ci siano dei fondi regionali a coprire i costi vivi dell’operazione per i volontari. E sono stati 72 quelli coinvolti nel terzo tracciamento delle acque, svolto a luglio del 2019 con oltre 300 campioni raccolti in due settimane e che ha confermato come le acque del lago prendono più direzioni, anche se poco meno del 50% finisce nel terzo ramo del Timavo. Il resto però si divide tra la zona a Sud, verso il Lisert a Monfalcone, e la zona a Est verso la Slovenia (Klarici). —
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