Le critiche di Chomsky sulle guerre americane
Noam Chomsky, linguista e ricercatore del Mit, è diventato un punto di riferimento per la critica all'apparato governativo americano. I suoi scritti politici si concentrano sull'influenza che il condizionamento ideologico ha sulle decisioni della classe dirigente statunitense.
Il suo attivismo politico inizia nel 1966, durante la guerra del Vietnam, concentrando la propria attenzione sulla cultura liberale tradizionale americana che considera un'evoluzione della mentalità coloniale europea. Gli Stati Uniti avrebbero sostituito le motivazioni coloniali di superiorità razziale e culturale con l'ideologia dell'anticomunismo, che crea il consenso necessario agli impegni militari: si demonizza il sistema comunista, contrapponendolo alla generosità del capitalismo. Tale teoria, secondo il nostro pensatore, motiva i violenti attacchi alla popolazione civile del Vietnam del Sud, presentando i bombardamenti come operazioni necessarie.
Lo stato di panico collettivo creato dalla manipolazione governativa porta alla militarizzazione della società e favorisce il complesso militare-industriale che si basa su sovvenzioni pubbliche. La militarizzazione colpisce anche le università: qui il prestigio e i finanziamenti forniti dagli studi bellici incoraggiano il conformismo intellettuale nei confronti della guerra.
Per Chomsky, gli accademici e i tecnici filogovernativi sono vittime, oltre che parte integrante, del sistema d'indottrinamento. Essi usano le conoscenze scientifiche per avanzare critiche solo sulle tattiche impiegate e non sulla legittimità dell'intervento. L'intellettuale dissidente li definisce "nuovi mandarini", servili come la casta burocratica della Cina imperiale. Il suo impegno antibellicista si manifesta anche nei primi anni del conflitto iracheno: l'ideologia del governo è rimasta sostanzialmente la stessa sostituendo il comunismo con il terrorismo.
La campagna mediatica contro l'Iraq, iniziata nel settembre 2002, si concentrò sulle armi di distruzione di massa possedute da Baghdad e su un collegamento con gli attentati dell'11 Settembre. In pochi mesi, l'opinione pubblica fu convinta dell'immediatezza e gravità della minaccia irachena. L'amministrazione di George W. Bush adottò una nuova dottrina, definita da Chomsky "Grande strategia imperiale": gli Usa - secondo lo studioso - si arrogano il diritto di azioni militari unilaterali contro qualsiasi Stato percepito come una minaccia alla propria egemonia, ignorando anche le eventuali risoluzioni contrarie dell'Onu. Secondo l'intellettuale, l'operazione irachena è stata un deliberato tentativo di creare un precedente diplomatico da usare per future operazioni militari.
Dai testi di Chomsky emerge una linea di continuità della politica statunitense nei quarant'anni che separano i due conflitti. Solo l'istruzione e la formazione di un pensiero critico protegge dalla manipolazione. Una popolazione educata potrebbe negare al potere l'uso dell'esercito con una diffusa e forte protesta, proponendo soluzioni alternative basate su una coerente politica di pace.
Damjan Gasperini*
*laureato a febbraio al dipartimento di Studi umanistici dell’Università di Trieste con una tesi dal titolo "Noam Chomsky e il suo pensiero sulle guerre americane in Vietnam e Iraq" (relatore: professor Claudio Venza)
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