Le cinesi della tratta liberate a Trieste: «Ora abbiamo paura»
Il terrore delle minorenni liberate grazie all’indagine coordinata da Frezza. Il procuratore: clandestini come fantasmi, sfruttati per ripagare il viaggio
TRIESTE «Abbiamo paura». A parlare è una delle ragazze cinesi trovate dentro a uno dei tanti suv fermati dalla Polizia di frontiera sul confine di Rabuiese. Per ovvie ragioni di protezione personale, né la sua identità né i contorni della sua drammatica esperienza possono essere rivelati.
Ciò che importa è il meccanismo in cui la giovane è finita: il suo viaggio in Italia, come ampiamente descritto nella documentazione giudiziaria, per l’organizzazione criminale cinese che gestisce la tratta vale 16 mila euro.
Quando la ragazza ha raccontato agli investigatori questo dettaglio ha espresso tutto il proprio timore per quanto successo: cioè l’arresto del passeur che la stava trasportando in Italia dalla Slovenia. Come potrà pagare i boss se non lavorerà per loro? «La donna – si legge in uno dei passaggi – manifestava molta paura per le conseguenze di quanto accaduto, dal momento che il debito nei confronti dell’associazione è ancora presente».
Non a caso il procuratore Federico Frezza, commentando in conferenza stampa il contesto in cui si è sviluppata l’intera indagine della Polizia di frontiera, si è soffermato proprio su questo aspetto: «I clandestini – ha detto – diventano dei veri e propri fantasmi, destinati a un severo sfruttamento fino all’estinzione del debito contatto per il viaggio».
La riflessione del magistrato è estesa a tutti i possibili ambiti di impiego in cui queste persone sono relegate dalle organizzazioni criminali, dunque non solo la prostituzione: i laboratori tessili, le sartorie, i ristoranti, ad esempio. Cioè i settori in cui trova posto la manovalanza a basso costo.
Si tratta di «una sorta di schiavitù a tempo – ha rilevato ancora il procuratore – accettata volontariamente, ma pur sempre inaccettabile per il nostro ordinamento e per la nostra etica».
L’altro elemento – inquietante – è che alle persone, non appena arrivano in Italia, viene requisito il passaporto. Non hanno più alcun documento d’identità. «Il che significa – così Frezza – che, da quel momento in poi, i clandestini diventano dei veri e propri fantasmi».
Nel casolare veneto di Cazzago di Pianiga gli agenti della Polizia di frontiera hanno scoperto 10 mila euro nascoste nelle prese della corrente, 22 carte di credito e di pagamento di circuiti internazionali e di istituti di credito cinesi; nonché 86 documenti, di cui 54 alterati o contraffatti, per lo più passaporti e carte d’identità intestate a cittadini cinesi, che venivano verosimilmente usati per trasferire “in sicurezza”, nelle città italiane di destinazione o in Paesi esteri, le persone trasportate.
I documenti, una volta requisiti alle persone, venivano rispediti in Cina probabilmente per essere riutilizzati nuovamente nella tratta.
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