Le barche e lo spirito della Barcolana sul New York Times

Il giornale statunitense dedica un articolo all’edizione 51 narrando anche la strana competizione per l’ultimo posto
La regata (ANSA/AP Photo/Paolo Giovannini)
La regata (ANSA/AP Photo/Paolo Giovannini)

TRIESTE. La più grande regata del mondo approda anche sulle coste del New York Times. A fornire un interessante quanto differente scorcio sulla Barcolana è stato Jason Horowitz, caporedattore dell’Ufficio romano del Nyt. Il giornalista ha voluto raccontare al mondo, lo scorso 24 ottobre, l’edizione numero 51 dell’evento triestino anche attraverso la narrazione di Pietro Faraguna, docente universitario di Diritto costituzionale, che gareggiava in Barcolana per la tredicesima volta.

Nell’articolo, tra cenni storici, menzioni degli effetti della bora, assente però nell’occasione lo scorso 13 ottobre, paragoni con la maratona newyorkese e malinconici flash sulla città tra ieri e oggi – quasi a voler per un attimo fotografare Trieste ai tempi dell’Impero austro ungarico – l’autore vuole toccare gli aspetti più emotivi e divertenti della Barcolana.

Dopo aver fatto menzione della grande partecipazione alla 50esima edizione, quella del 2018, e di come la regata sia divenuta anche una questione di business, sponsor e ingenti fatturati, il giornalista racconta l’appuntamento 2019 specificando, tra l’altro, che «tutto era a posto, ad eccezione del vento».

Attraverso il punto di vista di “Mr. Faraguna”, arrivato tra gli ultimi con la sua barca, si riporta con ironia come questi e il suo equipaggio abbiano affrontato, in modo “tutto triestino” e a suon di vini, questa edizione ridotta poiché troppo difficile per tutti coloro che non fossero in possesso di un’imbarcazione in grado di far fronte alla quasi totale assenza di vento. Per molti scafi partecipanti, come la Confinandante di Faraguna, infatti è stata già un’impresa il riuscire a percorrere un breve tratto dalla linea del via dopo la partenza.

Un’ora, 54 minuti e 10 secondi è il tempo impiegato dall’imbarcazione vincitrice “The Way of Life” per completare il percorso (ridotto appunto per decisione del comitato di regata), mentre la barca di Faraguna e i suoi a stento riusciva a muoversi inducendo i componenti dell’equipaggio, senza apparente tristezza, a mettersi a nuotare, bere e cantare per poi tornarsene a casa.

Chi a pomeriggio inoltrato era ancora in mare ha dato inizio, fra lo sgomento di coloro che monitorano i tempi, a una gara a chi arriva ultimo così da accaparrarsi la coppa del “perdente”, assegnata alle 18 a un gruppo di regatanti serbi, montenegrini e italiani con la loro Xeinos. Ed è proprio quest’ultimo premio, consegnato da Mitja Gialuz, presidente della Società velica di Barcola e Grignano, circolo che è la storica anima della Barcolana, il simbolo di tutta la narrazione del New York Times.

Una narrazione che racchiude in sé l’anima non solo di una competizione internazionale, ma anche di una manifestazione che non discrimina e che anzi vorrebbe unire. Così come era stato espresso dal tanto discusso manifesto ad opera dell’artista Marina Abramovic con lo slogan “We’re all in the same boat”, la Barcolana si è fatta nel tempo promotrice di messaggi importanti anche per aprire Trieste, riportando le parole proprio di Gialuz, al «vento fresco».


 

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