Le antiche armi di Irneri in fuga da Trieste

La famiglia vuole donare al Comune la preziosa raccolta dell’assicuratore Ma la figlia Donata spiega: «Mi ignorano, porto tutto a Udine»
Foto Bruni 21.03.13 Collezione Irneri
Foto Bruni 21.03.13 Collezione Irneri

Ci sono archibugi del XVI secolo, fucili ad avancarica del XVII, elmi e cimieri, armature medioevali, fiaschette di polvere da sparo finemente lavorate, spade, spadoni e schiavone, alabarde e lance, pugnali, pistole a ruota e a percussione, spade da battaglia e da cerimonia con foderi d’avorio intarsiato, asce, scudi e balestre. Più oggetti rari e preziosi come gli scrimshaw, denti di capodiglio incisi dai balenieri dell’Ottocento. In tutto sono oltre duecento pezzi, datati fra l’età del Bronzo e il XIX secolo, e fanno parte della straordinaria collezione d’armi messa insieme in decenni di appassionata ricerca da Giorgio Irneri, il “Gran Capitano”, tra i più illustri nomi del mondo assicurativo italiano, alla guida per oltre 40 anni del Lloyd Adriatico, fondato dal padre Ugo nel 1936.

Morto nel 2011 all’età di 89 anni, Irneri ha lasciato nel suo patrimonio anche un assortimento d’armi antiche di enorme valore che occupa un intero salone della villa di via Bellosguardo, ma che ora rischia di lasciare per sempre Trieste. La famiglia, infatti, la vorrebbe donare al Comune di Trieste perchè trovi adeguata esposizione pubblica, ma a un anno dall’offerta il Comune continua a nicchiare. «Più di un anno fa - racconta la figlia del grande assicuratore, Donata Irneri - ho manifestato al Comune l’intenzione di donare l’intera collezione d’armi di mio padre». «Ne ho parlato sia con il sindaco Roberto Cosolini sia con la responsabile dei civici musei Maria Masau Dan, che hanno dimostrato interesse, anche perché avevamo individuato insieme una possibile collocazione al Castello di San Giusto, sede ideale per una raccolta di armi antiche». «Poi - continua l’imprenditrice -, la proposta si è arenata, mi è stata ventilata la possibilità di smembrare la collezione, dividendola tra varie raccolte civiche come il Museo de Henriquez, ipotesi che non mi trova d’accordo, perché la raccolta ha un valore nella sua unità». Di fatto, continua Donata Irneri, dal Comune di Trieste nessuno si è più fatto vivo, «e a questo punto sto pensando di donare la raccolta al Comune di Udine o a quello di Firenze, dai quali ho già avuto dimostrazione di interesse».

Così, dopo i cartoni degli affreschi di Sbisà e l’archivio di Lelio Luttazzi, anche una collezione unica - e poco conosciuta non avendo mai lasciato le mure della villa di via Bellosguardo - come quella di armi antiche appartenuta a Giorgio Irneri rischia di lasciare definitivamente Trieste. E, in un certo senso, sarebbe la seconda volta. Irneri infatti si appassionò alle armi antiche nei primi anni Sessanta, dopo aver acquistato in blocco la collezione de Galatti. Un “corpus” antiquario che allora doveva essere acquistato dal Comune di Trieste, come sottolineò in un’intervento in Consiglio comunale, nella seduta del 9 marzo 1964, il consigliere Bruno Pincherle, medico pediatra, scrittore e gran sostenitore dei tesori cittadini. Caldeggiando una giusta collocazione per il museo de Henriquez, Pincherle nel ’64 citò in aula quale esempio di occasione mancata proprio la collezione de Galatti: «Come i consiglieri forse non sanno - disse - si trattava di raccolta d’armi antiche, d’interesse più che nazionale, europeo, la quale in base a un giudizio purtroppo incompetente, non fu acquistata dal nostro Comune per la somma di 7 milioni (meno di un decimo del suo valore venale) e fu lasciata alienare, privando così la città di un patrimonio storico e artistico di interesse eccezionale ed impedendo al nostro Comune di concludere uno dei pochi buoni affari che gli fosse mai presentato». Il buon affare lo fece Irneri, che “salvò” così la raccolta evitando che lasciasse Trieste. Ora, a mezzo secolo di distanza la situazione sempra ripetersi, solo che la collezione non viene messa in vendita ma regalata, e il Comune ha l’opportunità di averla gratis. «Ma evidentemente non c’è tutto questo interesse», chiosa Donata Irneri.

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