Le aggressioni ai sanitari aumentano in Friuli Venezia Giulia: l’anno scorso 483 episodi

Colpite soprattutto donne e infermieri. «Indice della frustrazione dei cittadini che non trovano risposte adeguate nel sistema sanitario. migliore riconoscimento sociale ed economico del ruolo fondamentale del personale sanitario»

Christian Seu
L'ingresso del Pronto soccorso del San Polo di Monfalcone (Foto Bonaventura)
L'ingresso del Pronto soccorso del San Polo di Monfalcone (Foto Bonaventura)

Sulla fuga e sulla scarsa attrattività della sanità pubblica non incidono solo i bassi salari, «ma anche la pesantezza del lavoro, che rende sempre più difficile la conciliazione con la vita privata di medici, infermieri e operatori sociosanitari», hanno sottolineato durante la presentazione del dossier sullo stato di salute del Ssr i referenti regionali della Cgil, il segretario generale Michele Piga e la segretaria della Fp, Orietta Olivo.

Non ci sono solo i straordinari e i richiami in servizio a gravare sullo stato psicofisico degli operatori. L’aspetto più inquietante, anche perché in netta crescita, è quello delle aggressioni: nel 2023, in Friuli Venezia Giulia se ne sono verificate 483 (fisiche o verbali), di cui 445 hanno colpito lavoratrici donne. Tra queste, 225 aggressioni hanno riguardato operatori con più di cinquant’anni.

Gli infermieri sono stati i più colpiti, con 365 episodi di violenza. L’aggravarsi del fenomeno, per Fp e Cgil, è anche un indice della frustrazione dei cittadini, «che non trovano nel sistema sanitario pubblico le risposte previste dalla Costituzione».

Per contrastare il fenomeno, più che un inasprimento delle pene, «ciò che serve davvero agli operatori sanitari è un ambiente di lavoro sicuro: la tutela delle professioni non passa infatti attraverso una logica punitiva, ma attraverso un migliore riconoscimento sociale ed economico del ruolo fondamentale del personale sanitario», ha rimarcato venerdì Olivo.

L’integrazione tra ospedale e territorio, per la Cgil, ha continuato a rappresentare un punto debole nell’organizzazione sanitaria. Un esempio recente, si legge nel documento, è il corso regionale per infermieri di famiglia avviato un paio di anni fa, con l’obiettivo di formare circa 400 professionisti specializzati. «La formazione si rivolge principalmente a chi già lavora nel settore dell’assistenza domiciliare, che continuerà a svolgere le stesse mansioni, ma con un titolo diverso: un vero cambiamento si sarebbe visto solo con l’assunzione di 400 nuovi infermieri da destinare agli ospedali, per permettere a chi già lavora di spostarsi sul territorio con una corretta formazione».

Fondamentale per l’efficacia dell’assistenza territoriale è il ruolo dei medici di medicina generale, liberi professionisti convenzionati con il servizio sanitario. Un assetto, questo, che la Cgil giudica non più sostenibile, sollecitando un’assunzione diretta da parte del servizio pubblico. «Riforma – si legge ancora nel documento – che ci auguriamo venga finalmente realizzata almeno per i medici di nuova formazione.

Altra criticità su cui intervenire «una distribuzione del personale dipendente nel ruolo sanitario non sufficientemente equilibrata tra le diverse aziende, specie se parametrata al numero della popolazione». Asfo, infatti mostra un tasso di incidenza del personale sanitario pari a 79,6 unità ogni 10 mila abitanti, valore assai inferiore rispetto ad Asufc (116,5 unità ogni 10 mila abitanti) e Asugi (118,1 unità ogni 10mila abitanti). Si nota un importante calo, attorno al 5 per cento nei tre anni, del personale infermieristico e addirittura del 10 per cento (in Asugi e Asufc) del personale medico, con gravi sofferenze nei servizi sia territoriali che ospedalieri.

È un’ulteriore conferma, per Fp e Cgil, «della disaffezione verso le professioni sanitarie comune a tutto il Paese, ma anche dell’assenza di strategie per trattenere chi è già assunto e attrarre potenziali nuovi lavoratori». Per i rappresentanti sindacali «si cerca di compensare assumendo operatori socio sanitari, che però hanno un ruolo diverso nel sistema sanitario, complementare ma non sostitutivo». Da qui l’esigenza di «nuove strategie, basate anche su un confronto con le rappresentanze sindacali e su un loro effettivo coinvolgimento nelle politiche sanitarie». —

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