L’avvocato e il magistrato? Al Dante erano compagni di banco
Compagni di banco per un quinquennio. Al Dante. E ora, trascorsi 34 anni, si ritrovano ancora - anche se in un’altra “aula” - e spesso uno di fronte all’altro. Senza nemmeno spostarsi poi troppo da via Giustiniano. Loro sono Giovanni Borgna e Federico Frezza, avvocato penalista il primo, magistrato il secondo. Tutti e due “dantini”. E tutti e due, assieme a un altro avvocato, Fabio Padovini, e al notaio Paola Clarich, sono intervenuti al secondo appuntamento delle celebrazioni per il 150° anniversario della liceo.
Appuntamento istituzionale ma qualche ricordo affiora, inevitabilmente. «Il Dante è una tradizione di famiglia, lo abbiamo frequentato tutti: mamma, papà, sorella. È stato naturale iscrivermi lì, poi mi piacevano le materie letterarie...», racconta Borgna, ex studente della III C «diplomato con il massimo dei voti» nel 1979, quando ancora si viveva sulla scia di quei turbolenti anni Settanta. «C’era la politica a scuola, c’erano le occupazioni, la Digos: eravamo impegnati, protestavamo, magari le idee erano confuse però avevamo davvero la convinzione di poter cambiare il mondo. Oggi è l’opposto: i giovani sono presi dallo sconforto, è questo che marca la differenza tra noi, quella generazione, e loro. Marachelle? Beh, si giocava a pallone in classe, ma erano coinvolte anche persone illustri. E non mi faccia dire altro».
“Dantino” al 100% è Federico Frezza, alla Procura di Trieste da vent’anni. Prima le medie, poi le superiori. E due figli spediti al Petrarca («hanno deciso loro e io sono democratico»). «A scuola mi divertivo proprio: mi piacevano tutte le materie. Ah no, arte no. E poi è stato al liceo che ho preso consapevolezza di cosa volessi diventare, un magistrato: era l’epoca dei primi processi alla mafia, dei pretori “verdi” contro l’inquinamento e per la salute pubblica. Avvenimenti importanti, io poi leggevo i giornali... Rimpianti? Che al Dante giocavano tutti a pallavolo, e io a calcio: mai che ci fosse stato un torneo di pallone!».
“Dantina” per tutti gli 8 anni tra medie e superiori Paola Clarich, di professione notaio, diplomata in via Giustiniano nel 1972, sezione B. Voto? «Non me lo ricordo, mi bastava finire e approdare all’università. Che a quei tempi era come dire assaporare la libertà». Il momento più bello? «Beh, storico direi, perché la mia classe è stata la prima a organizzare una gita all’estero: me lo ricordo, abbiamo visitato Monaco».
Infine, venendo al cuore della conferenza: serve davvero il classico nel diritto? «Serve eccome: si nota l’approccio di chi esce da un liceo, sa affrontare la contesa processuale dal sistema, non dal cavillo», commenta Borgna. Allora la tradizione continuerà anche con suo figlio? «Mi piacerebbe che seguisse la cultura classica ma non so quanti spazi potrà trovare in una città che si sta emarginando sempre più. Forse bisognerà fare i conti con una cultura più scientifica e applicata». «Io invece ho quattro figli - afferma Clarich - e in modo assolutamente non democratico li ho iscritti al Dante. C’è un tempo per ogni cosa, e le superiori devono essere il luogo dove formarsi, dove respirare la maggior cultura possibile». E Frezza, cosa pensa? «Che non c’entra la scuola, c’entra il talento. Gli eccellenti troveranno sempre un’occupazione».
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