Lavorare con l’amianto uccide: trent’anni fa la prima sentenza

Nel 1989 la Cisl vinse la causa contro Inail che non aveva riconosciuto la malattia professionale a un cantierino morto a 58 anni. A Torino ora si torna a condannare



Nel momento in cui (Tribunale di Torino, processo Eternit) si torna a condannare per omicidio colposo gli industriali responsabili della morte dei propri lavoratori a causa dell’esposizione all’amianto (con ciò invertendo una certa giurisprudenza assolutoria) ecco che torna d’attualità, dopo trent’anni, una sentenza storica. Fu la prima in Italia in materia di amianto. Nell’ottobre del 1989 infatti, il Tribunale di Udine, sentenziava la condanna dell’Inail di Monfalcone che non aveva riconosciuto la malattia professionale al cantierino Lionello Burgni, di Fiumicello, deceduto per patologia correlata all’esposizione all’amianto il 6 maggio 1986. A promuovere la causa fu la segreteria territoriale Fim-Cisl con l’assistenza dell’avvocato Luigi Genovese. Motore del procedimento fu Salvatore Colella, all’epoca direttore dell’Inas Cisl di Gorizia. Il pretore di Udine Carchio, davanti al quale si celebrò il processo, giunse alla conclusione, grazie a diverse perizie medico legali, che esisteva un nesso tra l’esposizione all’amianto del lavoratore e la patologia che lo condusse alla morte. Nesso sempre smentito dall’Inail. Nel commentare quella sentenza Colella fu profetico. «L’importante sentenza emessa dal pretore Carchio solleverà ampie ripercussioni nei vari ambienti di lavoro, specie in quelle aziende ove l’esposizione al rischio è molto sviluppata». A corredo delle dichiarazioni si riportava, e siamo nel 1989, che i tumori polmonari o pleurici siano il 60 per cento in più nei soggetti a rischio asbestosico.

La sentenza tuttavia non fu accolta “bene” nemmeno negli ambienti sindacali. In un volantino della Fim-Cisl infatti si leggeva che «purtroppo avevamo ragione. Perché le discussioni che avevamo iniziato 15 anni fa sull’argomento della pericolosità nell’uso dell’amianto nelle lavorazioni, allora apparivano eccessive. Ci avevano accusato di fare del terrorismo psicologico, ma alla fine si è dovuto riconoscere che le prove che portavamo a sostegno di queste tesi erano fondate». A distanza di trent’anni quali progressi si sono registrati? Tre maxi processi celebrati al Tribunale di Gorizia e conclusi con decine e decine di anni di reclusione per gli imputati. Il quarto processo ancora impantanato nell’udienza preliminare (mercoledì 19 giugno l’ennesimo round) mentre da gennaio ad aprile sono state censite solo all’ospedale di Monfalcone ben undici decessi di ex cantierini per patologie asbesto correlate. Oggi Colella desidera «ringraziare con affetto Massimo Lia (oggi capo della Procura di Gorizia ndr) che ai tempi in cui dirigevo il patronato Inas-Cisl, assieme all'avvocato Luig Genovese, con lui giudice, abbiamo affrontato e risolto diversi ed importanti problemi previdenziali».







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