L’autostrada del mare si rimette a correre: balzo dei traffici ro-ro fra Trieste e la Turchia. Caccia a nuovi spazi

Il 2021 ha segnato il ritorno ai livelli pre-pandemia e il primo bimestre 2022 porta un +25% dei volumi. Samer: «Avessimo altri moli li riempiremmo senza problemi»
Diego D’amelio
Giuliano Koren
Giuliano Koren

TRIESTE L’Autostrada del mare si rimette a correre. Il 2021 ha riassorbito del tutto l’impatto della pandemia e segnato il record dei traghetti che collegano il porto di Trieste e la Turchia. L’inizio del 2022 registra ora il +25% sull’anno scorso. «Avessimo altri moli, non avremmo problemi a riempirli», dice l’agente Enrico Samer, protagonista da trent’anni dei traffici fra Egeo e Adriatico.

Si cercano spazi a terra per alleggerire i terminal, mentre le banchine in progettazione (anche con fondi Pnrr) puntano sui ro-ro come base delle attività. I movimenti dalla Turchia non risentono infatti della guerra russo-ucraina e paiono anzi destinati a crescere, perché il post Covid consiglia il riavvicinamento della manifattura all’Europa e ha prodotto l’esplosione dei noli container, rendendo meno competitiva la produzione in Asia.

Nel 2021 il porto di Trieste ha toccato il massimo storico di unità ro-ro movimentate: più di 305 mila, dopo la flessione del biennio precedente, dovuta a pandemia e lockdown della produzione. L’anno scorso è arrivato il rimbalzo e i dati del primo bimestre 2022 dell’Autostrada del mare fanno presagire soddisfazioni per società armatrici e terminalisti. Secondo i dati dell’Autorità portuale, gennaio e febbraio hanno registrato un importante +24,5% rispetto allo stesso periodo del 2021.

I traffici sono gestiti da due compagnie: la danese Dfds e la turca Ulusoy. Entrambe rappresentate dalla Samer, che ne è socia all’interno dei rispettivi terminal triestini. Ma le banchine in controllo diretto non bastano più. Da un anno è arrivata in soccorso la Piattaforma logistica, in concessione ai tedeschi di Hhla e alla Francesco Parisi. In passato Samer e Parisi si sono sfidati a lungo per accaparrarsi le quote del mercato ro-ro, ma con i volumi attuali la concorrenza si è trasformata in collaborazione. E non è un caso che pure gli ungheresi di Adria Port abbiano deciso di scommettere sul ro-ro per la banchina che intendono realizzare nei prossimi anni: la società pubblica magiara considera i rimorchi l’investimento più affidabile sul medio periodo in una fase dalle molte incertezze.

Il porto di Trieste conta al momento 15 toccate settimanali fisse da porti turchi come Çeşme e Mersina. Fra i due terminali dell’Autostrada del mare viaggiano tessili, elettrodomestici, componenti metalliche, pannelli in truciolato e mdf, coil di acciaio e alluminio, alimentari refrigerati. I moli di Samer Seaports contano 8 arrivi e partenze, tutti operati da Dfds, che fa ulteriori tre accosti alla Piattaforma logistica di Hhla. I tedeschi accolgono settimanalmente anche due navi Ulusoy: in un anno sono ben cinque le toccate fisse a settimana intercettate da Plt. Le rotazioni di Ulusoy si completano infine con altre 2-3 toccate al proprio terminal Timt.

Le navi sono aumentate negli anni, ma non di molto: è cresciuta piuttosto la capacità, visto che i traghetti da 180-200 rimorchi di qualche tempo fa sono stati sostituiti da navi in grado di imbarcare 280 o 450 camion, in base alla stazza. Solo l’8% dei conducenti turchi viaggia ancora a bordo: la maggior parte arriva e torna in aereo, dopo aver portato il rimorchio in Europa centrale. Grazie all’intermodalità, sempre più ro-ro lasciano peraltro Trieste su uno dei treni del primo porto ferroviario italiano, con 10 mila convogli all’anno.

I traffici stanno ad ogni modo saturando gli spazi a terra e le attuali linee ferroviarie, di cui è in programma il raddoppio entro il 2026. I terminalisti hanno bisogno di aree in cui ospitare i rimorchi in attesa di partire e l’Autorità portuale ha appena messo a disposizione i piazzali del comprensorio di FreeEste, dove i rimorchi arrivano dopo lo sbarco rimanendo in regime di punto franco. Il nuovo obiettivo è rimettere in funzione il terminal inland di Prosecco: qui è in programma anche un hub dedicato ai prodotti refrigerati. Il progetto innescherà una novità per il porto: entro il 2022 Dfds intende aprire un collegamento con l’Egitto, incentrato sul trasporto dell’ortofrutticolo fresco.

Negli ultimi due anni, «la debolezza della lira turca ha aumentato l’export – dice Samer – e Dfds ha fatto andare in Francia due traghetti a settimana, che sarebbe stato più conveniente dirigere su Trieste. Ma non abbiamo spazio e la delocalizzazione dal Far East aumenterà la richiesta di un paese che è avanzato sul piano industriale e bancario». Il porto dovrà crescere in fretta, insomma, come conferma il direttore di Limes Lucio Caracciolo: «La Turchia è destinata a diventare un paese sempre più rilevante nell’area mediterranea e oggi vuole trasformarsi in paese marittimo, non più solo anatolico. Italiani e turchi hanno buone relazioni commerciali: questo inciderà perché la Turchia può diventare terra di insediamenti industriali nel riavvicinamento della produzione all’Europa». Ikea ha già deciso di spostare qui parte degli impianti asiatici. Benetton intende trasferire metà della produzione dal Far East verso Turchia, Egitto, Tunisia e Serbia. Le tensioni geopolitiche e l’esperienza del virus rischiano paradossalmente di diventare un asset per il porto di Trieste e un elemento di accelerazione dell’Autostrada del mare che congiunge l’Egeo all’Adriatico.

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