L’autonomia della Regione Istria nei giochi delle alleanze per il voto

La Dieta vuole avere dal Partito socialdemocratico garanzie sul mantenimento dello status

Pola

Nella definizione delle alleanze in vista delle elezioni politiche previste in Croazia il 5 luglio entra in gioco anche la Regione Istria. Proprio il mantenimento dello status di Regione, nella cornice di quella che viene ritenuta ormai una quasi inevitabile ridefinizione dell’assetto territoriale–amministrativo del territorio dello Stato croato, è il punto fermo dal quale la Dieta democratica istriana (Ddi) - che è al potere nella Penisola - non intende assolutamente recedere nelle trattative con i possibili alleati nelle urne.

I negoziati che in questi giorni sono in corso con il Partito socialdemocratico (Sdp), con il quale la Ddi ha alle spalle una storia di rapporti oscillanti, sembrano arenarsi proprio su questo punto. Dall’Sdp il presidente del Comitato centrale Erik Fabijanić (che tra l’altro appartiene alla Comunità nazionale italiana) fa sapere che per quanto riguarda l’Istria il suo partito ha le idee chiare: Regione è e Regione deve restare. Il fatto è che soltanto poche settimane fa altri alti esponenti dello stesso partito hanno espresso valutazioni di segno differente: per questo la Dieta punta a far sì che la questione venga chiarita definitivamente e senza dubbi.

Di una nuova mappa amministrativa del territorio statale croato si sta parlando da tempo per il fatto che la superficie della Croazia, pari a circa 56.000 chilometri quadrati, viene ritenuta eccessivamente frammentata con l’articolazione attuale in venti Regioni, 127 Città e 428 Comuni, il tutto con gli alti costi che fra l’altro ne derivano.

Si tratta di una suddivisione che ha anche creato non pochi intralci durante la fase acuta della pandemia da Covid-19, quando si è trattato di limitare la mobilità delle persone quale misura contro la diffusione del contagio. C’è stata una fase, tanto per fare qualche esempio, in cui le persone non potevano lasciare il proprio Comune, se sprovvisto di ufficio postale o farmacia, neanche per raggiungere quelli situati in un comune vicino.

In linea di massima le proposte del nuovo assetto territoriale–amministrativo della Croazia prevedono la creazione di quattro o cinque grandi Regioni, con l’Istria accorpata a quella Altoadriatica nella quale figurerebbe unicamente quale entità geografica e perderebbe - o perlomeno vedrebbe annacquate - le sue peculiarità storiche, culturali e linguistiche. Va considerato che al momento l’Istria è l’unica Regione bilingue in Croazia, dove la lingua italiana risulta parificata - almeno sulla carta - a quella croata.

La perdita dello status di Regione comporterebbe inevitabilmente una contrazione dei diritti degli italiani rimasti, diritti che a livello giuridico–amministrativo sono regolati in maniera molto precisa. Per questo motivo l’estate scorsa il deputato uscente degli italiani al Sabor Furio Radin aveva rispolverato il concetto - caro un tempo alla Ddi ma poi abbandonato - di una Istria Regione autonoma, un po’ sul modello del Friuli Venezia Giulia, con grande autonomia soprattutto dal punto di vista fiscale, visto che ora gran parte del prelievo finisce nelle casse di Zagabria. «Per arrivare a tale traguardo - aveva spiegato Radin - non serve alcuna rivoluzione ma semplicemente applicare i dettami costituzionali in materia di decentramento del potere politico nonché dell’autogoverno locale e regionale tramite un accordo civile e consensuale».

Di certo, in ogni caso non c’è da aspettarsi che Zagabria veda con favore l’ipotesi di una riduzione del gettito fiscale in arrivo dall’Istria, regione che occupa le prime posizioni nelle entrate del bilancio statale. —

p.r.

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