L’Authority triestina apre le sue porte ai “pirati” ecologisti di Sea Shepherd

I vertici italiani della discussa organizzazione sbarcano alla Torre del Lloyd. «Senza tutela dei mari non c’è futuro»

TRIESTE Oggi più che mai il mare è il sensore dello stato di salute del mondo e degli umani che ci vivono. Ieri alla torre del Lloyd l’Autorità di sistema portuale dell’Adriatico orientale ha ospitato una conferenza di Sea Shepherd, organizzazione la cui flotta nera solca i sette mari per proteggere balene, delfini, squali e altre specie a rischio.

I relatori sono stati, dopo l’introduzione del presidente dell’Adsp Zeno D’Agostino, il presidente di Sea Shepherd Italia Andrea Morello e il volontario Tommaso de Lorenzi. Moderava il giornalista Giovanni Marzini.

Morello racconta com’è nata Sea Shepherd Italia: «Nel 2010 per la prima volta una nave dell’organizzazione entra nel Mediterraneo. È la Steve Irwin, proviene dalle acque dell’Antartico. Al timone c’è il capitano Paul Watson, fondatore di Sea Shepherd nel 1977 e prima ancora di Greenpeace, nel 1971». La Steve Irwin passa il canale di Suez per proteggere il tonno rosso, che quell’anno è entrato nella lista delle specie in estinzione e subisce una pesca senza quartiere in molte parti del Mediterraneo. «A quei tempi c’erano 15 volontari in Italia - ricorda Morello - e l’organizzazione ci chiese di dare supporto alla nave, cosa che facemmo». Da quell’esperienza nasce Sea Shepherd Italia: «Assieme al capitano Watson valutammo che c’era molto lavoro da fare in queste acque. Piuttosto che mandare i volontari in giro per il mondo, era meglio costituire una onlus qui che facesse da base per le attività mediterranee».

Oggi Sea Shepherd Italia conta più di 900 volontari iscritti: «Lavoriamo nelle scuole in sei o sette regioni, ci occupiamo di pulizia di spiagge e fondali in dieci regioni».

Dal 2014 le navi della Neptune’s Navy, così si chiama la flotta dell’organizzazione, iniziano ad approdare con regolarità nel nostro Paese. Il primo obiettivo è tutelare l’area marina protetta del Plemmirio, subito a sud di Siracusa. «Quando ormeggiammo nella città siciliana - ricorda il presidente -, nonostante la nave nera e il simbolo del Jolly Roger, venimmo accolti molto bene dal comandante della Guardia Costiera e dal leggendario apneista Enzo Maiorca».

Sea Shepherd inizia così una collaborazione con la Guardia costiera, la Guardia di Finanza e la Polizia ambientale per combattere la pesca illegale. I risultati sono palpabili: «È aumentata la qualità di pesce e la biodiversità, ma anche gli animali sono più socievoli». Dal 2016 a oggi le navi di Sea Shepherd hanno frequentato con regolarità le acque italiane, collaborando con le autorità nella lotta contro il bracconaggio d’altura: «Quest’anno siamo andati a cercare le cosiddette spadare, reti vietate ormai da vent’anni ma ancora in uso. Ne abbiamo eliminate tre. In quella più lunga, da sei chilometri, abbiamo trovato pesci spada, tonni, squali: tutti morti. L’ultimo, però, era un’enorme verdesca da tre metri: era ancora viva e, con un piccolo aiuto, è sfrecciata nel blu delle acque fra Alicudi e Filicudi».

A dispetto dell’etichetta di «ecopirati» che il governo giapponese gli affibbia a causa della loro ferma opposizione alla caccia alla balena, Sea Shepherd si vede più come un fattore d’equilibrio: «Ad esempio ora lavoriamo in diversi Paesi africani, aiutando le marine del posto a combattere la pesca illegale. Spesso condotta da equipaggi di schiavi, porta via l’unica risorsa a popolazioni che vivono del mare, e a cui poi non resta altro da fare che cercare un’altra vita a nord del Mediterraneo». Nel mondo contemporaneo, infatti, tutto si tiene: «Noi lavoriamo per gli animali e per le generazioni future, nell’idea che l’umanità debba andare verso un’interconnessione sempre maggiore con le altre specie. Verso un pianeta meno antropocentrico. In questo senso, se qualcuno ci dà dei pirati, vale la risposta che diede il capitano Watson: “Noi siamo i pirati della compassione che combattono contro i pirati del profitto». —


 

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