L’Austria chiude Hypo Bank Italia

Il governo di Vienna, proprietario della holding, si arrende ai diktat europei e decide la cessazione dell’attività. Rebus tempi
Di Marco di Blas

VIENNA. La parabola di Hypo Bank Italia è giunta alla conclusione. La holding carinziana che ne controlla l’intero capitale ha deciso di farle cessare l’attività. Anzi, la decisione è stata presa direttamente dal governo di Vienna, che è proprietario del gruppo dal 2009, da quando cioè la holding è stata nazionalizzata per salvarla da un fallimento altrimenti inevitabile. È il prezzo che l’Austria è costretta a pagare all’Unione Europea, che non consente deroghe al principio della concorrenza.

Gli aiuti di Stato per tenere in vita Hypo Bank (finora 2,2 miliardi di euro, cui quest’anno se ne sarebbe dovuto aggiungere un altro miliardo e mezzo, più un ulteriore miliardo in forma di garanzia) erano stati tollerati, a condizione che vi fosse un credibile progetto di riprivatizzazione.

A cinque anni dalla nazionalizzazione l’obiettivo è ancora di là da venire e il commissario europeo alla concorrenza Joaquin Almunia ha perso la pazienza è ha detto basta. Tra le oltre 300 banche in sofferenza dell’Unione Europa, Hypo Group è quella che ha maggiormente beneficiato del sostegno pubblico. È chiaro che una situazione del genere non poteva durare all’infinito.

In una lettera di marzo alla ministra delle finanze Maria Fekter, cortese nella forma ma durissima nel contenuto, Almunia aveva preteso un piano di ridimensionamento compatibile con in principi dell’Unione Europea, dando come termine ultimo il 31 maggio. Quando, un paio di settimane fa, la ministra si è resa conto che Almunia non stava scherzando, ha costituito quella che potremmo definire un’”unità di crisi”, con esperti della Banca nazionale, del Finanzmarktaufsicht (istituto equivalente alla nostra Consob), della Fimbag (la società che controlla la partecipazioni azionarie dello Stato nelle banche) e dello stesso ministero, che ha lavorato ininterrottamente per trovare una soluzione il più possibile indolore per le casse pubbliche. Alla fine è stato elaborato un piano che prevede, come si è detto, il “sacrificio” di Hypo Italia.

La sorte della controllata italiana non è ancora formalmente decisa. Il piano elaborato dall’”unità di crisi” dovrà essere fatto proprio dalla ministra Fekter e sottoposto al commissario Almunia, che potrebbe accettarlo o respingerlo. Ma la seconda ipotesi non aprirebbe spiragli di speranza per Hypo Italia. Significherebbe soltanto che il ritiro dal mercato italiano non sarebbe considerato sufficiente e che si chiederebbero tagli anche sugli altri fronti balcanici, dove pure Hypo Group è presente.

Non sono ancora ben chiari i modi e i tempi dell’abbandono dell’Italia. Fonti della holding riferiscono soltanto che, dal momento in cui il piano sarà approvato a livello europeo e diventerà operativo, la banca italiana dovrà cessare le sue attività. Nessuna raccolta dei denaro, nessun investimento, nessun nuovo contratto di leasing. È probabile un drastico ridimensionamento del personale, in misura molto maggiore di quanto era avvenuto nei mesi scorsi. Dovrebbero rimanere in servizio soltanto gli uomini necessari per gestire i rapporti in corso, fino alla loro estinzione. In Austria Hypo Bank Italia è stata definita ieri “untote Bank”. “Untot” è un aggettivo che non si trova nel vocabolario e che non è facilmente traducibile. Un funzionario della banca ci ha spiegato che significa “non morto, ma quasi morto”. Insomma, potremmo definire Hypo Italia “un morto che cammina”.

Il piano degli esperti del Ministero delle finanze austriache che condanna Hypo Italia prevede anche la vendita entro l’estate di Hypo Austria e la creazione di una “bad bank” in cui scaricare tutti i “non performing loans” e i rami non vendibili del gruppo. Resta la domanda: perché la scelta di chiudere Hypo Italia e non un’altra Hypo nei Balcani? Klagenfurt risponde: perché la banca italiana è quella più difficile da vendere.

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