Laureati in fuga da Trieste per trovare un lavoro

Il rapporto Almalaurea non dice che i 34 giovani su 100 che hanno raggiunto il traguardo di un impiego a un anno dalla fine dell’università sono scappati all’estero oppure prendono 300 euro in un call center
Studenti all'Università di Trieste
Studenti all'Università di Trieste

C’era una volta l’Italia del boom economico, quella in cui non c’era più bisogno di emigrare all’estero per farsi una vita, perché il posto fisso, si poteva trovare in aziende del Belpaese, in Fiat o in Olivetti. C’era una “meglio gioventù” che girava in 500, si faceva il mutuo per comprarsi casa, si sposava e metteva su famiglia. Quella meglio gioventù oggi è morta: al sogno di Olivetti si è sostituito il sogno di Briatore, che viene chiamato pure a tenere lezione alla Bocconi. Ai nostri giovani, impegnati a studiare per poi cercarsi uno straccio di lavoro, dice che le start-up sono “tutte fuffa” e che è meglio aprire una pizzeria, o lavorare come cameriere in uno dei suoi locali. Il paradosso è che sembra non abbia tutti i torti. Dall’ultimo Rapporto Almalaurea sulla condizione occupazionale dei laureati l’Università di Trieste sembra uscire a testa alta: per i laureati triennali, a un anno dalla laurea, il tasso occupazionale è pari al 40%, un valore in linea con la media italiana (41%). Tra i laureati magistrali, a dodici mesi dalla conclusione degli studi, risulta occupato il 58%, valore superiore alla media nazionale (55%). A un anno dalla laurea il lavoro è stabile per 34 laureati occupati su cento di Trieste, in linea con la media nazionale (35%). Ma ci sono tutta una serie di però: intanto il dato sull’occupazione, quel 58%, include anche tutti coloro che dichiarano di svolgere un’attività, anche di formazione, purché retribuita.

Il lavoro arriva prima se il neolaureato ha studiato a Trieste

Ciò significa che l’avvocato praticante che arriva a malapena a 300 euro al mese per lavorare 12 ore al giorno è considerato occupato. E ci sono altri dati che fanno dubitare che una laurea possa davvero cambiare la vita: il 37,6% degli occupati dichiara di proseguire il lavoro iniziato prima della laurea, mentre soltanto il 27% dichiara di aver ottenuto un miglioramento nel lavoro svolto grazie alla laurea. E c’è, sempre più, laurea e laurea: il 48,9% di chi si è laureato in lettere e filosofia (i dati sono ancora scorporati in base alle vecchie facoltà) dichiara che il titolo di studio si è rivelato poco o per nulla utile per l’attuale lavoro, tra chi è laureato in giurisprudenza la percentuale cala di poco (47,1%) e non se la passano meglio i laureati in scienze matematiche, fisiche e naturali (42,5%), architettura (41,5%), scienze politiche (39,2%) e psicologia (38,5%). Va meglio ai laureati in Farmacia, Medicina, Ingegneria, Economia, Scienza della Formazione, Interpretariato e Traduzione, che nella maggior parte dei casi dichiarano di aver trovato un’occupazione attinente con ciò che hanno studiato.

I dati comunque raccontano soltanto una parte della storia: altra questione è cercare di capire dove hanno trovato lavoro i laureati dell’università di Trieste. Abbiamo raccolto alcune storie che ci aiutano a dare un quadro della situazione: raccontano di una città che offre davvero poche possibilità ai giovani, anche a quelli con un curriculum invidiabile.

Giovani, a Trieste sale la disoccupazione: in 12 mesi +10,7%
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Raccontano di una generazione che si è ormai rassegnata a cercare un’occupazione in altre città italiane o a emigrare all’estero per trovare un lavoro qualificato. Alberto, ingegnere meccanico impiegato a Bergamo, in Tenaris, azienda che produce tubi e fornisce servizi per l'esplorazione e la produzione di petrolio e gas dopo essersi laureato a Trieste con il massimo dei voti. Monica, laureata in Neuroscienze, ha dovuto volare a Valencia per trovare un’occupazione. Francesco, laureato in ingegneria navale, se n’è andato in Scozia. Davide, una laurea in Giurisprudenza, lavora a Londra, nella City. I suoi colleghi che si sono fermati a Trieste si arrabattano lavorando per pochi euro in studi legali o nei call center.

A Londra si è fermato anche Renato, laureato in psicologia sociale: lì lavora per un’agenzia digitale, con un contratto a tempo indeterminato. L’unica certezza? «Siamo la prima generazione che vivrà peggio dei propri genitori», dice Davide, che di tornare in Italia non ha la minima intenzione.

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