Laura Greene a Trieste: «La scienza crea progresso e riduce le diseguaglianze: la politica deve ascoltarla»

Laura Greene, consigliera scientifica del presidente americano Biden, fa tappa a Trieste. Parteciperà ad un evento al Centro di Fisica assieme ad altri big del calibro del Nobel Parisi

Giulia Basso

TRIESTE È una dei consiglieri scientifici del presidente Joe Biden, parte del Council of Advisor in Science and Technology (Pcast) e chief scientist del National High Magnetic Field Laboratory alla Florida State University. Laura Greene, fisica esperta in meccanica quantistica, si trova a Trieste per partecipare alla conferenza per il centenario dello Iupap, una delle più longeve unioni internazionali di fisici, in programma da ieri fino a domani all’Ictp. Greene, che ha presieduto l’American Physical Society ed è vice presidente per l’etica e la divulgazione dello Iupap, sarà la coordinatrice del panel “Science advising politics”, cui prenderanno parte, tra gli altri, il Nobel Giorgio Parisi.

Greene è tra i principali sostenitori della diversità nelle scienze, della diplomazia scientifica e dei diritti umani. Se gli Usa sono sempre stati molti forti in ambito scientifico, ci dice, è anche perché il clima politico è sempre stato favorevole alla ricerca. «Ci sono stati grossi cambiamenti in epoca Bush, quando è stata diffusa una pubblicazione che ha dimostrato come impegnarsi significativamente nelle scienze sia importante per l’economia e la sicurezza degli Stati Uniti - racconta nel corso di un’intervista raccolta con la collaborazione dell’American Corner di Trieste-. Io stessa ho fatto attività di lobbying presso il governo per sostenere la ricerca e l’educazione scientifica. Sono almeno due gli argomenti che funzionano molto bene con l’opinione pubblica. Uno è la bellezza della scienza, perché la persone si emozionano per i nuovi superconduttori o la rivelazione delle onde gravitazionali. Ma si può anche porre l’attenzione sulla crescita economica generata grazie all’avanzamento scientifico».

La pandemia ha davvero insegnato alla politica ad ascoltare gli scienziati?

«La scienza ha sofferto per questa pandemia, perché molti laboratori sono rimasti chiusi. Ma personalmente sono rimasta impressionata dal grande lavoro svolto per lo sviluppo di un vaccino e dall’impegno del settore privato in quest’ambito. Ognuno deve prendere autonomamente le proprie decisioni, ma gli Usa hanno fatto molti sforzi per cercare di far vaccinare gratuitamente le persone. Con il Covid abbiamo scontato il grande successo dei vaccini precedenti: la gente non ricorda più i tempi della poliomielite e non crede più che le malattie possano essere così gravi. Pensa che con i farmaci si possa curare quasi tutto».

Ci sono differenze tra l’amministrazione Trump e Biden nel peso dato ai consiglieri scientifici?

«Ogni amministrazione gestisce il tema in modo differente. Il presidente Trump è stato un po’ più lento nel mettere in piedi il Pcast, ma aveva comunque un consigliere scientifico molto valido, mentre Biden sul Pcast si è mosso molto velocemente».

Quali sono i temi che stanno più a cuore a questa presidenza?

«La questione dell’assistenza sanitaria, perché la pandemia, così come l’impatto sulla salute dei cambiamenti climatici e dell’inquinamento, ha causato maggiori sofferenze nelle comunità più svantaggiate. E il tema degli hub regionali d’innovazione scientifica e tecnologica: abbiamo zone come San Francisco e Boston dove il legame tra università, laboratori nazionali e industrie private è molto forte e crea molti posti di lavoro. Ma il 90% dei lavori nell’industria tecnologica e nella ricerca si concentrano nel 5% delle aree popolate. Perciò sono stati stanziati fondi del governo federale per supportare la creazione di hub tecnologici a Phoenix e a Pittsburg e Biden vorrebbe estendere queste opportunità anche ad altre aree, come la Florida, per creare più industrie e lavoro e migliorarne l’economia».

I fisici ci avevano messo in guardia dagli effetti del cambiamento climatico. Perché la politica è tanto in ritardo?

«Il global warming è la sfida maggiore per il nostro pianeta e nessuna persona ragionevole può più negarlo. Un report della National Academy of Science l’aveva detto nel 2018, sottolineando come le attività umane ne fossero la causa principale. Dal 1990 sono molte le ricerche fatte sul tema e oggi abbiamo molti strumenti per studiare e comprendere l’impatto delle singole attività umane sul global warming. L’amministrazione Biden è preoccupata anche per le disuguaglianze che il global warming e l’inquinamento possono esasperare».

L’abbattimento delle emissioni mette a rischio anche interi settori industriali e posti di lavoro. Come limitare questo tipo di impatto?

«Sarebbe necessario creare degli innovation hub in aree come il West Virginia, dove gran parte dell’occupazione si concentra su attività estrattive: così si potrebbero creare nuove opportunità di lavoro per chi opera in quel settore, opportunità che non dipendano dall’estrazione di carbone e di petrolio».

A proposito di diplomazia scientifica, come si può usare la scienza in modo diplomatico?

«Ci sono almeno tre motivi per sostenere la diplomazia scientifica: la scienza è uno sforzo globale, la diversità nella scienza è fondamentale per la nascita di nuove idee e la risoluzione dei problemi, così come la conoscenza reciproca, che consente di superare le differenze culturali e confrontarsi in modo più efficace».

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