L’attesa per Liliana Resinovich: archiviare il caso o disporre nuove indagini, a giorni la decisione
Il giudice Dainotti stabilirà nel giro di una settimana se archiviare il caso o disporre ulteriori indagini. Davanti al tribunale amici e parenti di Lilly
TRIESTE È ormai questione di giorni. Una settimana, forse meno, e sapremo se sulla misteriosa morte della sessantatreenne Liliana Resinovich, ancora sospesa tra l’ipotesi del suicidio e quella dell’omicidio, si aprirà un nuovo capitolo.
Ieri in tribunale a Trieste si è tenuta l’udienza davanti al gip Luigi Dainotti per discutere se archiviare il caso, come vorrebbe la Procura, o se invece disporre indagini supplementari. Al termine del confronto in aula, però, non è arrivata l’indicazione tanto attesa: il giudice si è preso del tempo e comunicherà appunto la decisione nell’arco di qualche giorno.
Attorno alla vicenda di Liliana Resinovich, al momento, restano ancora diversi punti interrogativi. Tanti i dubbi su cosa sia effettivamente accaduto alla donna - dipendente della Regione andata poi in pensione -, scomparsa di casa la mattina del 14 dicembre 2021 e ritrovata senza vita il pomeriggio del 5 gennaio successivo nella boscaglia dell’ex ospedale psichiatrico di San Giovanni con la testa infilata in due sacchetti di nylon trasparenti e il corpo dentro a due sacchi neri dell’immondizia. Per la Procura di Trieste si è trattato di un suicidio: «Un intenzionale allontanamento di Resinovich dalla sua abitazione e una decisione altrettanto intenzionale di porre fine alla propria vita», si leggeva in un comunicato di febbraio firmato dal procuratore Antonio De Nicolo. Conclusioni a cui gli inquirenti erano giunti dopo mesi e mesi di inchiesta.
Ma mano a mano che emergevano i dettagli dell’indagine, si aprivano altri interrogativi. Uno su tutti: quello legato all’assenza di impronte della donna sui sacchi neri. Come avrebbe fatto Lilly a infilarsi dentro senza toccarli dal momento che non indossava guanti quanto il corpo è stato rinvenuto? Ma i punti di domanda non finiscono qui: nessuno è mai riuscito a spiegare dove si fosse nascosta la donna nel periodo intercorso tra la scomparsa e il ritrovamento del cadavere. Anche perché l’autopsia ha dimostrato che non era deceduta il giorno della sparizione. Quindi dov’era andata? Dove, e con chi, aveva trascorso tutti quei giorni e tutte quelle notti?
La necessità di ulteriori accertamenti investigativi è stata sollecitata dai legali che si sono opposti all’archiviazione chiesta nei mesi scorsi dal pubblico ministero Maddalena Chergia. Si tratta del marito di Lilly, Sebastiano Visintin, difeso dall’avvocato Paolo Bevilacqua; del fratello Sergio Resinovich, tutelato dall’avvocato Nicodemo Gentile; e della nipote Veronica Resinovich, seguita dall’avvocato Federica Obizzi. Quest’ultima e il collega Gentile fanno parte dell’associazione Penelope.
Il gip, che ieri nell’udienza in Camera di consiglio ha ascoltato le posizioni delle parti (la Procura, come sua facoltà, non era presente), dovrebbe pronunciarsi tra la fine di questa settimana e l’inizio della prossima. Quasi tre ore e mezza, tanto è durato ieri il confronto in aula. A conferma che la questione resta intricata.
E mentre in tribunale si discuteva, all’esterno del palazzo di giustizia i familiari e gli amici di Lilly davano vita a un presidio: «Ti hanno rubato la vita, ma non ci toglieranno mai la voglia di lottare per te. Verità e giustizia», recitava uno dei cartelli esposti. Oltre al fratello, alla nipote e alla cugina di Lilly, a prendere parte all’iniziativa c’era anche Claudio Sterpin, l’uomo che frequentava la 63enne. «Doversi mettere davanti a un tribunale per chiedere giustizia è illogico – ha detto –, la verità doveva emergere prima. L’errore di questa vicenda è stato seguire la pista del suicidio fin dai primi giorni e da lì non ci si è mossi. Confidiamo che le indagini proseguano».
Lo sperano anche i legali che si sono opposti all’archiviazione. «Questa donna è stata scaricata come un giocattolo rotto in un freddo prato», ha osservato l’avvocato Gentile intrattenendosi con i giornalisti a fine udienza. «Il suo viso era quello di un pugile a fine incontro, tante erano le lesioni». Il legale ritiene quindi indispensabili accertamenti sulle lesioni stesse e verifiche sull’ipotesi di un congelamento (o raffreddamento) del corpo. Ma anche approfondimenti genetici sui dna ritrovati, «che non sono stati messi a confronto». Di qui l’ipotesi, tutt’altro che remota, di una riesumazione del cadavere.
Sebastiano Visintin ieri non è entrato in tribunale. È rimasto nei paraggi, in attesa di informazioni dal suo legale. «La Procura, i suoi periti e la Mobile hanno fatto un ottimo lavoro – ha affermato –, per 15 mesi hanno vagliato ogni aspetto. Se il gip riterrà di dover approfondire degli elementi, resterò a disposizione. Ma ciò che mi sento di dire dal profondo del mio cuore è di lasciare che Liliana riposi in pace».
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