L’ateneo vara lo Statuto Regole severe per i vertici
È stato promulgato ieri il nuovo Statuto dell’Università di Trieste. L’atto del rettore Francesco Peroni chiude una lunga fase di riprogettazione del governo di ateneo in seguito alla riforma Gelmini, recepisce ma in parte anche rigetta i rilievi del ministero, e apre una nuova storia. È con questo nuovo assetto che, eventualmente, si giocherà la partita annunciata, quella di progressiva “federazione” con l’ateneo di Udine.
Ci saranno importanti cambiamenti nella “governance” universitaria, che prevede per legge un direttore generale esterno e membri esterni nel Consiglio di amministrazione. Ma anche una «forte semplificazione della geografia istituzionale», come l’ha definita Peroni stesso all’inaugurazione dell’anno accademico. Spariscono le 12 facoltà, assorbite dai dipartimenti. Ci saranno solo 11 strutture con compiti unificati di didattica e ricerca al posto delle circa 30 attuali. Consiglio di ammininistrazione e Senato accademico ingloberanno anche il Consiglio delle strutture scientifiche: i membri diventano 30, praticamente la metà degli attuali.
Le riforme però che il rettore considera privilegiate, e anzi così irrinunciabili da non poter sottostare nemmeno ai richiami ministeriali, non sono solo quelle di smagrimento. Anzi, sono di natura istituzionale e poggiano su alcuni concetti-cardine che presidiano molto severamente l’accesso alle cariche: «competenza, responsabilità, indipendenza», e anche elettorato passivo allargato alla massima trasversalità tra docenti e strutture, così da stimolare la massima partecipazione e perfino ”competizione”, senza steccati di “grado” accademico, quando si tratti di scegliere un ruolo di vertice, sollecitando così «l’interesse generale, e non settoriale, a concorrere al governo dell’Università». Quindi, tutti potenzialmente eleggibili (fatti salvi i severissimi “paletti”) in Cda, in Senato, al vertice di un dipartimento.
Ma su che cosa l’Università di Trieste ha detto “no” alle correzioni del ministero? Posto che tecnicamente il punto contestato deve essere confermato dal voto di una maggioranza qualificata (e ciò è avvenuto) la “ribellione” riguarda due punti essenzialmente. «Abbiamo accentuato, rispetto alla legge Gelmini - dice Peroni - i requisiti di competenza, professionalità e indipendenza che devono avere i candidati, interni ed esterni, al Cda. Chi governa l’ateneo deve dare la più alta garanzia di esercitare un’azione adeguata rispetto ai nuovi criteri di valutazione cui le università saranno a breve sottoposte, da cui discenderanno anche i finanziamenti-premio. Servono dunque requisiti elevati, massima indipendenza, nessun conflitto d’interessi».
Proprio sul conflitto di interessi lo Statuto triestino ha aggiunto ulteriori parametri di “incompatibilità” rispetto a quelli indicati dalla legge Gelmini, e li ha tratti da leggi che riguardano gli enti territoriali, ma anche gli enti bancari. «I valori sottostanti sono di tale rilievo - spiega il rettore - che va assolutamente preservata questa linea».
Il secondo punto contestato riguardava l’eleggibilità (e non la “nomina”, come prescritto) dei membri interni nel Consiglio di amministrazione. «La legge - prosegue Peroni - non contiene elementi di incontrovertibile divieto, e noi abbiamo difeso questo ulteriore passaggio democratico, che un’altra volta garantisce la maggiore partecipazione di tutti».
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