L’ateneo di Trieste ha sospeso le lezioni in presenza. Una deroga solo per i ricercatori
TRIESTE Con il passaggio del Friuli Venezia Giulia in zona rossa da lunedì scorso l’Università di Trieste ha deciso di chiudere nuovamente fino al 10 aprile aule studio e biblioteche, che restano aperte solo per il servizio di prestito su appuntamento, e di sospendere le attività laboratoriali in presenza e i tirocini per gli studenti e i dottorandi.
Gli unici che possono fare attività in presenza sono gli studenti del dipartimento di Scienze mediche già vaccinati. Possono inoltre proseguire nei laboratori, nel rispetto della normativa anti-Covid, i lavori di ricerca.
Tra i gruppi di ricercatori che hanno lavorato anche durante il primo lockdown c’è quello di Annalisa Falace, docente di Algologia del dipartimento di Scienze della vita: «Lo scorso marzo avevamo delle coltivazioni sperimentali in essere e il nostro direttore ci ha consentito, nel rispetto delle misure di contenimento, di portare avanti gli esperimenti, con cui testiamo gli effetti delle alte temperature sulla riproduzione di alcune alghe marine che stanno scomparendo - racconta Falace -. Ricordo il mio viaggio nel pieno del primo lockdown a Catania per prelevare queste alghe, che crescono solo nel sud Italia e in Tunisia. Al mio ritorno sono riuscita a prendere per un pelo l’ultimo volo per Trieste, prima che li sospendessero. Nonostante queste vicissitudini, e facendo da casa ciò che ho potuto, è stato comunque un anno molto produttivo».
Sulla stessa linea Ivan Donati, ricercatore e professore associato in Biochimica: «Dopo due mesi di chiusura a inizio pandemia, che hanno determinato un rallentamento dell’attività sperimentale, grazie alla governance di Ateneo abbiamo potuto riprendere il lavoro in laboratorio in sicurezza. Perciò nonostante le difficoltà siamo riusciti comunque a essere operativi a un buon livello e proseguiamo tuttora».
Ma non per tutti è andata così: molti studenti e soprattutto dottorandi che si occupano di materie che richiedono sperimentazioni in laboratorio hanno registrato, a causa degli accessi contingentati e delle comunicazioni da remoto, un rallentamento delle proprie attività, rischioso per la loro futura carriera. «E’ ormai un anno che è difficilissimo accedere alle strutture e se da un lato la borsa di studio non ci è mai mancata, dall’altro è più complicato lavorare bene e tutto procede più lentamente, dall’analisi dei dati alla comunicazione con colleghi e docenti.
Se non ci fosse stata la proroga ministeriale di cinque mesi per la consegna della tesi avrei avuto grosse difficoltà a realizzare il mio lavoro per tempo», spiega Francesca Maddaloni, rappresentante dei dottorandi di Scienze della terra. «Per ora però la proroga è stata concessa solo ai dottorandi al terzo anno, speriamo ci sia un’estensione anche per chi è al secondo e al primo, perché a causa della pandemia abbiamo subito tutti un notevole rallentamento - commenta Alessandra Lanzoni, collega di Maddaloni al secondo anno di dottorato -. Senza considerare che siamo stati privati della possibilità di intraprendere un periodo di studio all’estero, aspetto molto importante per la nostra crescita professionale».
«E’ andata meglio a chi, per la tipologia di studio portato avanti, ha potuto lavorare da remoto: «Nel mio caso sono stato toccato marginalmente dalle chiusure, perché per concludere la tesi mi mancava soltanto una parte di analisi dati che ho potuto fare da casa», dice Tommaso Pivetta, che a breve conseguirà il dottorato in Scienze della terra. «Quanto agli studenti, hanno saputo reagire bene alle difficoltà imposte dalla situazione he le priorità altrui», conclude Falace. —
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