L’astronave di Star Trek? Secondo gli astrofisici della Sissa resterà fantasia
Liberati e Finazzi, esperti di ”buchi neri”, spiegano perché non funziona il motore "warp drive"

TRIESTE.
Narrano le cronache della saga di Star Trek che i viaggi interstellari divennero possibili con la realizzazione dei reattori a fusione che convertivano il deuterio in plasma. Le astronavi raggiunsero così velocità prossime a quella della luce, la velocità limite dell'Universo secondo il postulato einsteiniano della teoria della relatività ristretta. E il vascello ”SS Valiant” riuscì ad attraversare un wormhole, un tunnel spazio-temporale, giungendo ai confini della nostra galassia. Ma non fece mai ritorno. Il successivo balzo tecnologico che consentì di superare la velocità della luce avvenne grazie al sistema warp drive, la cosiddetta propulsione a curvatura. Il primo volo avvenne nel 2063.
In seguito, la squadra di tecnici che l'avevano ideato si trasferì su Alfa Centauri (una delle stelle più vicine, ad appena 4,3 anni-luce dal Sole) per implementare il nuovo sistema. Fin qui la fantascienza di Star Trek. Eppure il sogno di scavalcare la velocità della luce ha contagiato anche parecchi scienziati. Nel 1994 il fisico messicano Miguel Alcubierre della Cardiff University pubblicò un lavoro in cui, prendendo lo spunto proprio dal motore a curvatura delle astronavi di Star Trek, teorizzò la possibilità di viaggi verso le stelle mediante una “bolla” che contrae lo spazio davanti all'astronave e lo dilata al suo passaggio: in tal modo l'astronave si muoverebbe più veloce di un raggio di luce esterno alla bolla.
La stessa Nasa, tra il 1996 e il 2002, ha finanziato un proprio gruppo di ricerca sulla propulsione superluminale (ovvero più veloce della luce). E, d'altra parte, le equazioni della relatività ammettono la possibilità di superare la velocità della luce sfruttando proprio la curvatura dello spazio-tempo. Tuttavia, a dare un brutto colpo alle speranze dei fan di Star Trek giunge ora dalla Sissa di Trieste uno studio con un titolo che non sembra lasciare margini di dubbio. In italiano possiamo tradurlo “Sull'impossibilità di viaggiare più veloci della luce: la lezione dello warp drive” (una versione tecnica dell'articolo è stata pubblicata quest'estate su ”Physical Review D”).
Ne sono autori Stefano Liberati, 39 anni, romano, specialista di buchi neri, che fa parte del settore di astrofisica della Sissa; il suo studente di dottorato Stefano Finazzi, 25 anni, bergamasco; e Carlos Barcelò, dell'Istituto di astrofisica dell'Andalusia, a Granada. Gli stessi Liberati e Barcelò, per inciso, sono tra gli autori di un articolo divulgativo alquanto provocatorio che appare su ”Le Scienze” di dicembre, ripreso da ”Scientific American”: “Stelle nere, non buchi neri”. Dicono dunque Liberati e Finazzi: «Fin dagli anni Novanta alcuni fisici si sono posti il problema della realizzazione di una bolla warp drive per superare la velocità della luce. Chiedendosi ad esempio: che tipo di materia serve? quanta energia è necessaria?
Bisognerebbe infatti ricorrere a una forma di materia esotica capace di ”spingere” anziché di ”attrarre”, avendo un'energia inferiore a quella del vuoto. Materia di questo tipo si può creare in esperimenti di laboratorio grazie a fenomeni quantistici. Ma ne servirebbe una massa grande quanto il Sole per realizzare un warp drive capace di contenere un'astronave. Cosa decisamente improponibile, perlomeno con la tecnologia attuale». Ma i nostri scienziati vogliono essere ottimisti: «Ammettiamo che nel lontano futuro si riesca a ottenere una sufficiente quantità di materia esotica, risolvendo così il problema del warp drive dal punto di vista tecnologico. Siamo sicuri, a quel punto, che la bolla a curvatura rimarrà stabile a velocità superluminale? O non correrà invece il rischio di autodistruggersi?».
Immaginiamo allora di avere una bolla a curvatura fatta di materia esotica, al cui interno c'è la nostra astronave. Distorcendo lo spazio-tempo in cui è immersa, la bolla si muove a velocità superiore a quella della luce. Per un astronauta al suo interno, la parete anteriore della bolla – fuggendo in avanti a velocità superluminale – rappresenta una regione di spazio-tempo non superabile (un “buco bianco”, per dirla con i fisici); mentre quella posteriore è una regione da cui nulla può entrare (ovvero l'analogo di un “buco nero”).
Sappiamo inoltre che lo spessore della bolla, del warp drive, deve essere inimmaginabilmente sottile, dell'ordine della scala di Planck: 10 alla meno 33 centimetri, molto al di sotto della dimensione nucleare. Che cosa accade, in queste condizioni, all'interno del warp drive? «Per cercare di capirlo – spiega Stefano Liberati – abbiamo utilizzato ciò che noi astrofisici sappiamo dei buchi neri. È noto che un buco nero, anche se per definizione trattiene al suo interno perfino la luce, in realtà produce una forma di radiazione quantistica, detta ”radiazione di Hawking”. Allo stesso modo, la parete posteriore della bolla produrrebbe una analoga radiazione.
Che però non potrebbe uscire dalla zona anteriore della bolla: rimarrebbe quindi imprigionata al suo interno, accumulandosi sulla parete anteriore. I nostri calcoli mostrano che questa accumulazione di energia destabilizzerebbe rapidamente la bolla spazio-temporale, magari fino a farla esplodere assieme all'astronave». Riassumendo: anche se fosse un giorno possibile superare tutti i problemi legati alla realizzazione di un motore a curvatura alla Star Trek, l'energia intrappolata al suo interno a velocità superiore a quella della luce ne provocherebbe l'autodistruzione. Gli warp drive superluminali, insomma, vanno bene nel mondo della fantascienza ma non nel mondo reale. Stop a ogni speranza di viaggi interstellari, dunque? Sì e no.
«C'è una strada per aggirare questi problemi, almeno in parte - osservano Liberati e Finazzi. - Basterebbe spingere il warp drive a una velocità appena inferiore a quella della luce. Correndo al 99 per cento della velocità della luce, il warp drive potrebbe infatti funzionare senza disintegrarsi. E, in fondo, ci potremmo anche accontentare: a una velocità del genere avremmo comunque quasi a portata di mano almeno le stelle più vicine».
Utilizzando equazioni e concetti derivati dalla teoria della gravitazione e dalla fisica quantistica, Liberati, Finazzi e Barcelò hanno dunque affrontato (e risolto?) un problema di grande suggestione concettuale, presente da sempre nell'immaginario scientifico e fantascientifico. C'è qualcosa di più, tuttavia: perché gli warp drive superluminali potrebbero – almeno in via teorica – consentirci addirittura balzi nel futuro, alla maniera di una macchina del tempo. Ma questa è un'altra storia...
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