L’assessore Riccardi: «Sull’ospedale di Cattinara costi in fase di stima, ma fra otto anni avremo a Trieste un hub moderno»
«Sarebbe stato più semplice chiedere i danni e ripartire da zero, però ci sarebbe voluti decenni. Invece abbiamo trovato la soluzione»
TRIESTE «Abbiamo lavorato su un settore complicatissimo, in anni segnati dalla pandemia, dalla tempesta Vaia e dalla guerra». Il vicepresidente con delega alla Salute Riccardo Riccardi parte dall’eccezionalità della legislatura per discutere di sanità e del dibattito sulla riforma del sistema, che ha ripreso quota ora che l’emergenza Covid è tornata sotto controllo.
Ha definito il cantiere di Cattinara uno dei più difficili della sua carriera…
«È un’opera che va realizzata continuando a garantire le cure e che, dopo l’affidamento nel 2014, non era riuscita ad avere l’approvazione antisismica. Si era piantato tutto: sarebbe stato più semplice chiedere i danni e ripartire da zero, ma avrebbe significato finire fra 25-30 anni. Abbiamo trovato la soluzione per integrare il progetto e ottenere il via».
Il cantiere è partito, ma la consegna slitta ancora, al 2030. È il termine ultimo?
«Quando il Pd ci attacca, citofoni alla Serracchiani. Abbiamo dovuto adeguare le cose che abbiamo trovato e ci metteremo 8 anni invece che 30».
La Regione ha trovato le risorse per adeguare il progetto e fare il “cubone” proposto da Rizzani de Eccher…
«I primi 30 milioni sono serviti a mettere in sicurezza il progetto. Ma in mezzo c’è stata la pandemia e abbiamo dovuto tenere conto dell’ipotesi Covid Hospital, per il quale sono stati allocati 40 milioni, cifra che sappiamo non essere definitiva».
Quanto costerà?
«Siamo in fase di stima, ma la pandemia ha cambiato le regole. Spero non si faccia polemica anche su questo».
Ai 209 milioni vanno aggiunti altri fondi per i rincari di energia e materie prime?
«Vedremo l’evoluzione. L’aumento non era immaginabile, ma non possiamo non avere un ospedale hub moderno».
Il direttore del Burlo denuncia sottofinanziamento e interi reparti a rischio chiusura per carenze infrastrutturali. Come si regge fino al trasferimento nel 2027?
«Ci sono stati i costi della pandemia, ma solo in questa legislatura mi pare si siano date risposte: non è stato facile reperire 7 milioni per acquisire i nuovi edifici in via dell’Istria. Abbiamo interesse che il Burlo resti quello che è».
Dove si trovano i maggiori spazi reclamati dai medici del Burlo a Cattinara?
«Abbiamo soluzioni, non vedo problemi».
State scrivendo il Piano emergenza urgenza: quante centrali 118 avremo?
«Sono rispettoso della richiesta del Consiglio e abbiamo studiato le ipotesi da una a quattro centrali. Ma ascolterò con maggiore attenzione i professionisti, che per la prima volta abbiamo messo in una stanza. L’elemento principale è il funzionamento, non i costi».
Lei ha detto di preferire la centrale unica: cosa serve per farla funzionare bene?
«Il sistema è partito con capacità tecnologica limitata e stiamo rimediando. L’altro tema è la frammentazione: oggi la centrale non è integrata con i sistemi locali dell’emergenza e serve un unico punto di decisione. Inoltre il personale della centrale deve tornare anche sui mezzi di soccorso. Ricordo che per fare le tre centrali ci vuole il personale e non è semplice trovare infermieri».
La carenza di personale sta creando problemi anche nei Pronto soccorso…
«Anni di programmazione nazionale sbagliata sul personale. I professionisti dell’emergenza sono la punta dell’iceberg. Il personale va pagato di più se fa turni stressanti, vanno usati gli specializzandi e si deve ampliare l’accesso alle specialità in tutti i settori».
Si ridurranno le liste d’attesa per le prestazioni?
«Stiamo cercando di portare avanti i piani, ma torniamo alle competenze professionali che mancano. E alle critiche quando si propone di rivolgersi al privato accreditato: farlo per le prestazioni a bassa e media intensità non significa privatizzare la sanità».
Cortocircuito sugli Atti aziendali: cos’è successo tra Direzione centrale e Arcs?
«Una bufala: gli Atti sono stati approvati subito dopo».
Ha sedato la rivolta pordenonese trasferendo all’Arcs il contestato dg Polimeni. Lo scambio improvviso con Tonutti non certifica che l’Arcs può essere gestita da chiunque perché mai decollata?
«Ne discutiamo in una legislatura con tre anni di pandemia? Abbiamo fatto altro. Tonutti è già stato a Pordenone e conosce il sistema. Polimeni ha sbagliato a gestire le relazioni, ma è un professionista di qualità e può essere prezioso all’Arcs».
Sette posizioni da direttore e 17 nomine in quattro anni, con nomi arrivati e ripartiti dopo pochi mesi. È pentito di qualche scelta fatta?
«I passaggi sono stati inferiori a quelli della precedente legislatura e lo dimostrerò martedì in Aula. La mobilità degli apicali sanitari avviene in ogni legislatura. Quando si cercano fuori regione i grandi professionisti, poi questi tentano di riavvicinarsi a casa».
Martedì si discute la mozione di censura delle opposizioni contro di lei. È giusto chiedere le sue dimissioni?
«Ho fatto dura opposizione in passato, ma non ho mai presentato mozioni di sfiducia. Ognuno fa quello che può».
All’opposizione era contro i Cap e ora è per le Case di comunità, voleva il ritorno ai 118 provinciali e ora preferisce la centrale unica.
«Al tempo dei Cap non era prevista la riforma del rapporto di lavoro coi medici di base, competenza statale. Sulla Sores mi sono opposto alle modalità: personale trasferito manu militari e tecnologia non aggiornata, per arrivarci prima delle elezioni. Solo i paracarri non cambiano idea, comunque».
Si parla di riforma sanitaria perché la pandemia dà tregua. E l’autunno?
«Non faccio previsioni, ma non smantelleremo strutture e processi con cui abbiamo fronteggiato questi anni. Se non serviranno, meglio».
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