L'ASSEMBLEA DEI SOCIBernheim: presidenza onorariaper restare legato alle Generali
Antoine Bernheim - a Trieste l'assemblea dei soci - lascia la guida di Assicurazioni Generali "con vero e profondo dolore", ben disposto a cogliere l’offerta di una presidenza onoraria "pur di mantenere un legame con uno dei due grandi amori della mia vita". In questa intervista parla di amici e nemici, di Mediobanca e di Cesare Geronzi, che sta per prendere il suo posto
Antoine Bernheim
TRIESTE.
Difficile non trarre bilanci, a 85 anni. Tanto più alla vigilia di una appuntamento che implica un addio. Antoine Bernheim oggi (a Trieste è in corso l'assemblea dei soci) lascia la guida di Generali "con vero e profondo dolore", ben disposto a cogliere l’offerta di una presidenza onoraria "pur di mantenere un legame con uno dei due grandi amori della mia vita, della cui gloria rivendico un pezzo". Parla di sé, con autoironia, come di "un povero vecchio licenziato e senza nulla da fare", ma in effetti ha ricevuto varie proposte da parte di fondi di investimento e da "un vero amico" come Gerardo Braggiotti per Banca Leonardo.
Presidente Bernheim, lei pare sorpreso di non essere stato ricandidato, eppure le manovre andavano avanti da molti mesi
.
Se avessi pensato che mi avrebbero allontanato, mi sarei dimesso io per primo. Mesi addietro il premier Berlusconi, a una cena all’ambasciata americana, mi disse che sarei rimasto fino a che fosse durata questa crisi economica. La crisi deve essere passata, anche se non me ne sono accorto.
Ma perché lei è stato allontanato e da chi?
La questione della mia età è chiaramente un pretesto. Forse mi cacciano perché assieme agli amministratori delegati Perissinotto e Balbinot ho fatto il bene della compagnia. Di sicuro nello stato maggiore di Mediobanca c’è chi non mi ama perché mi sono sempre battuto per l’indipendenza di Generali. Nel ’99 la cacciata fu umiliante, stavolta è peggio.
Quale ruolo ritiene abbia avuto il suo successore Cesare Geronzi in questa sua uscita di scena?
Geronzi ha detto a più riprese che mai e poi mai avrebbe fatto il presidente di Generali. Ha cambiato idea, evidentemente, ma non ritengo che sia lui il regista di questa manovra, né che abbia fatto lui pressioni perché fossi mandato via. Se avesse piacere a conoscere le mie opinioni sulla compagnia, sarei lieto di mettermi a sua disposizione. Non conosco peraltro le sue strategie, né di quali poteri disporrà.
Chi mette nella lista dei traditori?
Nessuno mi ha tradito ma c’è chi mi voleva fuori.
Se le verrà proposta la presidenza onoraria, cosa risponderà? E più in generale, quali sono i suoi piani per il futuro?
Non essere nemmeno membro del consiglio di amministrazione vuol dire non contare nulla. Non so cosa sia una presidenza onoraria. Ma dopo quasi 40 anni in questa compagnia, può essere che anche questo ruolo mi permetta di mantenere un legame con Generali, che mi trovo costretto a lasciare con vero e profondo dolore. Braggiotti mi ha chiesto di prendere un ruolo importante in Banca Leonardo, forse per aiutarlo soprattutto in Francia dove dicono che sono una leggenda e un personaggio mitico mentre in Italia sono trattato in maniera diversa. Fondi di investimento mi hanno chiesto di entrare nel capitale e nella gestione. Ma non mi sono messo sul mercato del lavoro, anche perché trovo ancora incredibile che non mi abbiano rinnovato in Generali per almeno un altro anno. Avrei voluto restare per portare il Leone fuori dalla crisi e ancora più forte. Il gruppo deve diventare sempre più internazionalizzato mantenendo ovviamente il quartier generale a Trieste. Non oso pensare che qualcuno oggi possa immaginare di portare Generali via dalla città.
Quali progetti concreti avrebbe voluto coltivare se fosse rimasto?
Lo sviluppo non può che avvenire all’estero e soprattutto in Asia, dove grazie a Balbinot siamo diventati la seconda compagnia estera nel ramo vita in Cina, siamo entrati in India e Vietnam. Volevo poi tornare in Brasile, dove eravamo il sesto operatore di mercato quando Gutty decise di chiudere tutto. Poco lungimirante, direi. E poi penso che in una stagione di crisi come questa si aprono enormi opportunità di acquisizioni, a patto di avere i soldi pronti. Avrei cercato i finanziamenti appropriati per procedere a acquisizioni.
Vale a dire che a Generali servirebbe un aumento di capitale per accelerare lo sviluppo?
Mi pare logico se l’obiettivo è una crescita esterna. Vi è una formidabile liquidità, nonostante la crisi, e la credibilità di Generali è enorme. Ma Mediobanca non ha mai voluto aumenti di capitale, per non diluirsi. Ho chiesto tante volte se è preferibile avere il 14% di una società statica o il 12% di una brillante, non ho avuto mai risposta. Come si capisce, non pratico la demagogia, non so dire che la verità e quindi non mi sorprendo che vi sia qualcuno che mi ritiene antipatico.
Anche in assemblea passate non sono mancate dure contestazioni.
Davide Serra del fondo Algebris mi ha aggredito in assemblea, perché secondo lui la compagnia era poco dinamica. Lui avrebbe voluto che facessimo una finanza più "moderna". Ma un certo modo di fare business io non l'ho mai capito e non compro quello che non capisco. E questa crisi, del tutto eccezionale nella sua durezza, deriva soprattutto dalla scarsa professionalità e serietà di grandi banche che hanno privilegiato la speculazione agli interessi generali e di lungo periodo. Noi non abbiamo fatto mai operazioni di questa natura, per questo risentiamo della crisi molto meno degli altri. Io ritenevo che le riserve tecniche, oggi oltre 300 miliardi di euro, servono a pagare i sinistri e le pensioni, non possono essere materia di speculazione.
Ma allora, se i risultati sono dalla sua parte, come spiega questo allontanamento senza preavviso?
Non so che dire. E’ già capitato una volta. Sono entrato in consiglio di amministrazione nel 1973, ho preso la presidenza la prima volta nel 1995 e nei quattro anni a seguire la società ha raddoppiato il giro d’affari e triplicato la capitalizzazione di Borsa. La raccolta premi nel ’94 era di 14 miliardi di euro, alla mia partenza nel ’99 era di 37,8 miliardi e le riserve tecniche erano passate da 42,2 a 139,9 miliardi. Segno che il management che avevo scelto aveva fatto un buon lavoro. Ma nonostante questi numeri, Mediobanca nel ’99 decise di cacciarmi, anche allora senza alcun preavviso.
E in quel caso qual era il motivo della sua rimozione?
Allora vi era in Mediobanca un giovane e brillante dirigente, di nome Gerardo Braggiotti, cui sono personalmente legato da amicizia. Cuccia e il suo figlio spirituale Maranghi decisero di allontanare Braggiotti e io, siccome lo stimavo e non volevo che finisse a Bnp o a Rothschild, gli procurai l’opportunità di entrare in banca Lazard di cui ero senior partner. Maranghi era dotato di fervida fantasia e di uno spirito contorto, sospettava che tramite Braggiotti io volessi sfilare a Mediobanca i maggiori clienti e portarli in Lazard. Stupidaggini, tanto che Maranghi e Cuccia mi hanno poi chiesto scusa.
E dopo le scuse formali le hanno chiesto di tornare alla testa di Generali.
Esatto, può sembrare strano ma è così. Del resto, quando sono arrivato qui 37 anni fa, Generali era una piccola compagnia e oggi è il secondo gruppo assicurativo europeo, con una reputazione mondiale. Dopo un negoziato con Allianz su Agf, siamo diventati il secondo assicuratore in Germania. Con il mio amico Tendil, abbiamo preso le tante società del gruppo in Francia e ne abbiamo fatto la seconda compagnia assicurativa del mio paese. Abbiamo rilevato in Israele il controllo di Migdal, anche perché a fronte dei negoziati tra Rabin e Arafat pensai che in quell’area ci sarebbero state grandi chances di sviluppo. Con la famiglia Werthein abbiamo assunto il controllo della Caja de ahorro y seguro, ossia il maggior assicuratore in Argentina. Con Ceska abbiamo recuperato la posizione di leader che avevamo prima della guerra in Europa centrale. Abbiamo acquistato la Banca della Svizzera italiana, perché Perissinotto pensava che dovevamo essere capaci di fare anche asset management. Abbiamo rilevato la Banca del Gottardo. In due cifre, nel 1973 Generali aveva una raccolta premi di un miliardo di euro, oggi supera i 70 miliardi.
I numeri parlano, ma non dicono tutto evidentemente. Premesso che i suoi 85 anni sono stati l’argomento usato per non confermarla, ritiene vi siano altre motivazioni?
Da francese, ho sempre difeso l’italianità di Generali da tutti i tentativi di acquisizioni congegnate da stranieri. Sono profondamente convinto che Generali fa parte della nazione italiana e che ne sia un vanto nel mondo. In questa mia battaglia mi sono procurato tante pesanti inimicizie, perché la nostra compagnia è un gioiello che mi vanto di avere contribuito a creare.
Ma con chi ha condiviso questo percorso? A chi risalgono i meriti di questo itinerario di crescita?
Agli inizi del mio percorso qui, ho incontrato Giovanni Perissinotto, che aveva una posizione di scarso rilievo e ha poi fatto una carriera fulminante. Del tutto eccezionale pure la via seguita da Sergio Balbinot, che è il nostro uomo degli affari esteri. Conosce tutte le lingue, sospetto stia imparando pure il cinese.
In che contesto è tornato in Generali la seconda volta?
La compagnia si trovava in una situazione molto difficile e con risultati molto mediocri. In quel periodo Lazard voleva vendere la sua quota in Mediobanca, io favori il passaggio di mano delle quote al mio giovane amico e protetto Vincent Bolloré, che spinse per il mio rientro in Generali. E poi Cuccia e Maranghi volevano riparare all’errore compiuto mandandomi via. Tutto convergeva nel 2002 affinché tornassi là dove ero stato felice.
Ma quale situazione ha trovato quando ha ripreso in mano il timone?
La situazione interna nella gestione si era molto deteriorata. Quanto all’esterno, sono stato subito attaccato dalla cordata bancaria ispirata dal governatore Fazio. Parteciparono tutti i gruppi creditizi, salvo il SanPaolo di Torino guidato da Rainer Masera. Andò loro male e quindi, a fronte di un piano industriale molto ambizioso, i banchieri d’assalto pensarono che avremmo fallito e che allora avrebbero potuto cacciare me e i miei colleghi Perissinotto e Balbinot. Penso che questa strategia sia stata ispirata allora da Geronzi. In questa situazione, in cui Geronzi non era partigiano, lui convinse gli altri colleghi a adottare una linea attendista. Hanno sbagliato i loro calcoli e noi abbiamo fatto più grande Generali. Non credo accada per caso che oggi quasi tutti quelli che lavorano in Generali avrebbero voluto che rimanessi. E in mezzo secolo passato nelle banche, non mi è mai capitato di vedere i sindacati sostenere il capo-azienda.
Che idea si è fatto del suo futuro e quali progetti intende coltivare?
Non so non essere schietto, non sopporto il tradimento e la menzogna. Ho avuto due soli amori nella vita, oltre a mia moglie con cui sono sposato da 64 anni: sono stato in Lazard per 35 anni e in Generali per 37. Dal giorno dopo l’assemblea, per me sarà una prova tremenda chiedermi cosa farò oggi. Forse è vero che sono vecchio, ma per vivere occorre far girare i neuroni e io ho bisogno di lavorare. In Lazard ho visto tanti e tanti presidenti di aziende grandi e grandissime che, quando incontravo magari per caso due anni dopo la loro pensione, parevano relitti umani. Ho partecipato ai campionati europei e mondiali di bridge, ma il bridge non basta naturalmente. Nella vita mi hanno sempre motivato le sfide, ma nella pensione qual è la sfida? Forse la morte? Ne parlerò con i miei amici vescovi e cardinali. In Italia, che è un paese molto cattolico, ho sempre aiutato la Chiesa. Ricordo papa Roncalli come una persona che risplendeva, un vero messaggero di Dio come l’arcivescovo di Parigi Lustiger. Oggi ho una ammirazione profonda per il cardinale Scola, un uomo straordinario che da patriarca di Venezia mi ha voluto nella sua fondazione. Un motivo in più per stare a Venezia, dove ho casa e dove ama vivere mia moglie.
E a Trieste ha coltivato amicizie nel lungo tragitto di vita che vi ha compiuto?
Solo la marchesa Carignani, in tanti anni passati in questa città, mi ha invitato a cena a casa sua. Non ho mai avuto tantissimi amici qui, fuori da queste mura.
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