L’arte e la cultura a Gorizia ai tempi del Caffè Teatro

Era il più giovane del gruppo, non il più timido. Ascoltava, imparava e cercava di cogliere opportunità. Lui, Antonio Verone, oltre cinquant’anni dopo quella stagione è tornato a Gorizia, dove alla galleria Dora Bassi dell’Auditorium il Comune gli ha reso omaggio con l’allestimento di un’antologica. Trentasette opere dipinte nell’arco di una lunga stagione artistica, ben oltre il mezzo secolo. Tra i primi e i nuovi quadri una costante: la festa del colore. Tocchi vivaci come i suoi occhi. Tocchi precisi come lo sguardo della moglie tedesca che l’ha spinto a trattenersi lassù, lui goriziano d’origine, prima in Germania e poi in Austria. Moglie se non musa sicuramente guida: dopo il vernissage ha giustamente preteso un brindisi tutto per sè con il marito vezzeggiato dai presenti.
Antonio Verone fa rima con testimone. Di quella straordinaria stagione che potremmo definire la “Gorizia al tempo dei colori”. Non solo pittori, alcuni diventati protagonisti dell’arte regionale e oltre, ma anche musici, teatranti e letterati. Colori sgargianti di una città pregna di idee e finalmente lacerata solo da correnti di pensiero. Qualche nome, di quelli ricordati alla vernice. Prima di tutto Ostilio Gianandrea, insegnante delle scuole medie, carismatico e da tutti riconosciuto come punto di riferimento dell’arte goriziana. Poi, in ordine sparso, Fulvio Monai, Roberto Joss, Gigi Castellan, Cesare Devetag, Tonci Fantoni, Raul Cenisi, il conte Guglielmo Coronini, Francesco Macedonio, Daniele Balani, Bruschina, l’avvocato Mavolo, Giobatta Foschiani, Dora Bassi, De Nicolo, Mario Tudor, Mocchiutti, Cej, Doliach e tanti altri ancora. Tra i protagonisti, Sergio Altieri, presente all’inaugurazione. Il ritrovo era al Caffé Teatro, dove tra un’esposizione e l’altra gli artisti si tiravano certe stilettate da far impallidire i dialoghi, apoteosi del sarcasmo, tra Winston Churchill e George Bernard Shaw. Talvolta al Caffé Teatro i protagonisti delle dispute venivano alle mani inscenando zuffe rimaste memorabili. Seppure il cenacolo artistico fosse frequentato anche da maggiorenti della vita cittadina non ultimi magistrati del calibro di Raul Cenisi. Insomma, un bel mondo che andrebbe indagato e spolverato per proporlo oggi, riveduto ma non corretto.
Intanto si goda dell’arte di Verone «ipotetico primo passo - ha auspicato l’assessore Devetag nel suo intervento alla vernice - per giungere a una grande antologica permamente dei maggiori pittori goriziani di ogni tempo». Da allestire, perché no?, nel Museo Santa Chiara. Uno stimolo ulteriore a contemplare le opere di Verone è stato proposto dal critico d’arte Emanuela Uccello, curatrice dell’allestimento, che ha sottolineato tra l’altro «la naturale predisposizione di Verone per il disegno e la sua innata freschezza artistica». Il pittore dal canto suo ha ricordato la vicinanza a Gianluigi Devetag in particolare. Emotivamente coinvolgente per il figlio Antonio rintracciare e conoscere dopo tanti anni l’autore di alcune opere che Verone donò al padre. Dell’intervento di Verone vale soprattutto ricordare l’inizio e la fine: ha ringraziato. Pratica oggi quasi estinta.
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