L’arresto di 31 anni fa per le armi rubate
Era un vecchio vizio, vecchissimo, quello delle armi belliche da nascondere in casa. Il cinquantunenne Dario Terzoni, ucciso venerdì scorso da una granata della Prima guerra mondiale che stava maneggiando nel garage di casa sua, in passato aveva avuto seri guai con la giustizia. Trentuno anni fa Terzoni, allora ventenne, era stato arrestato per furto e detenzione di pistole e fucili. Non solo lui, ma pure il padre e il fratello. Nei guai anche altri due amici di Terzoni che avevano acquistato alcuni dei pezzi trafugati.
Siamo nell’inverno del 1987, tra novembre e dicembre. Le cronache del Piccolo, firmate dall’ex giornalista di giudiziaria Claudio Ernè, raccontano una storia inquietante. I carabinieri di Trieste scoprono che la famiglia Terzoni nasconde nella propria abitazione di Trebiciano, al numero 74, decine di armi.
L’inchiesta si pone subito una domanda: a chi era destinato tutto quel materiale? In che mani doveva finire? Si pensa alla criminalità balcanica. L’interrogativo resterà sospeso, anche se poi la pista del collezionismo appare la più plausibile.
C’è però certezza sull’origine di tutta quella roba: Dario Terzoni finisce in manette perché è accusato di aver derubato assieme ad altri commilitoni l’Arsenale della Marina di La Spezia, mentre è in servizio militare. È un marinaio di leva. Rispolverando gli articoli dell’epoca, la vicenda è presto spiegata. I carabinieri riescono a risalire alla provenienza del bottino grazie al numero di matricola di un binocolo. L’oggetto - si legge in un articolo di venerdì 13 novembre 1987 - è sistemato nella soffitta di una villa di Trebiciano accanto a venti rivoltelle “Beretta” calibro 9 modello 51, una “Luger”, un fucile automatico “Fal”, uno da caccia con le canne mozze e munizioni. I numeri di matricola, in questo caso, sono cancellati. Limati via. Ma sul binocolo no, nessuno ci pensa. Gli uomini del Nucleo operativo rinvengono anche vecchi elmetti e baionette. Insieme a Dario Terzoni, sono cinque gli arrestati, quattro risiedono a Trebiciano. Alcuni vengono messi in isolamento al Coroneo, il quinto è trattenuto in caserma di via dell’Istria per l’interrogatorio. Dalle indagini emerge presto che le armi appartengono a un deposito militare razziato un anno prima. Circostanza che verrà a galla anche dalla confessione di uno degli indagati. Ma dalle ricerche ci si accorge che mancano all’appello almeno altre 21 “Beretta” calibro 9 e due fucili automatici. L’inchiesta si estende quindi al di fuori dal perimetro della provincia di Trieste. Ecco farsi largo l’ipotesi del traffico di armi con la Jugoslavia. O, annota, il cronista, del terrorismo internazionale. Trieste è una zona di confine, «si arriva nei Balcani lungo i sentieri, tra i boschi», fa notare il giornalista. Ci sono anche dei precedenti che sembrano avvalorare questa strada: il ritrovamento nei pressi della stazione di Aurisina, anni prima, di 25 chili di tritolo e 200 detonatori. Il giro di ordigni e armi, sul Carso, è un tema ben presente sui giornali dell’epoca. Due giorni dopo, Il Piccolo pubblica la seconda puntata dell’indagine: i carabinieri confermano che le armi appartengono all’Arsenale della Marina militare di La Spezia. Roba sparita nell’agosto ’86 dal magazzino del Comando dragaggio. La lista del materiale si allunga: sono 31 le “Beretta” sottratte, insieme ai fucili, a cinturoni, cartucce e pezzi di ricambio per armi leggere. È proprio il dettaglio della matricola sul binocolo, a svelare tutto. Terzoni, che in quel periodo del mega furto era un marò della base di La Spezia, si difenderà affermando di aver trovato casualmente il materiale «dietro a un muricciolo dell’Arsenale». Intanto i contorni delle vicenda cominciano a schiarirsi: Dario Terzoni aveva messo a segno il colpo con altri complici, commilitoni di origine veneta ed emiliana. Questo dice l’indagine sull’arresto. Il furto non era opera di terroristi o trafficanti, ma di marinai di leva appassionati di armi. I Terzoni avevano portato la roba nella villa di Trebiciano per arricchire la collezione di famiglia. Nell’abitazione spuntano anche bombe, moschetti antichi, sciabole, divise e revolver. E pure una “Glisenti calibro 10.4”, usata dai carabinieri di inizio secolo. Una passione che si è trasformata in tragedia.
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