L’architettura del futuro è in alta montagna

Un libro di Antonio De Rossi e Roberto Dini spiega le nuove tendenze: non chalet ma edifici e abitazioni avveniristici

Addio all’antica opposizione tra città e montagna. Oggi le Alpi non sono più un ambiente ideale e idealmente contrapposto alle corrotte città. Gli stili di vita urbani sono penetrati tra le montagne, e sono stati fatti propri dalle popolazioni locali. Eppure resistono diversità e specificità, e anzi l’architettura contemporanea guarda proprio al passato, a quel minimalismo, a quella funzionalità subordinata ai materiali disponibili e all’adattamento all’ambiente, che fu dei tempi in cui l’uomo strappava una misera sussistenza alla severità delle terre alte. Parola degli architetti Antonio De Rosi e Roberto Dini, che firmano a quattro mani il volume “Architettura alpina contemporanea” (Priuli & Verlucca, pagg. 159, euro 25,00), nuovo titolo della storica e prestigiosa collana dei “Quaderni di cultura alpina”, libro che si presenta come un vero e proprio repertorio illustrato dei nuovi stili architettonici in via di affermazione fra i monti, individuando scuole e tendenze.

Ma come sta cambiando la montagna? «C’è una rinnovata attenzione all’abitare - risponde Roberto Dini -, dopo il boom delle seconde case e abitazioni delle vacanze seguito agli anni in cui le città “invadevano” le montagne a scopo turistico, ora si ricominciano a costruire case principali, da abitare nel quotidiano, ed edifici produttivi legati all’artigianato, all’agricoltura e alla cultura». Edifici che non strizzano più l’occhio al finto rustico o al vernacolare, ma che puntano a un minimalismo funzionale «in uno sviluppo equilibrato con l’ambiente».

Nel descrivere e analizzare le nuove forme archittoniche che spuntano qua e là sull’Alpe, De Rossi e Dini sottolineano anche come «malgrado la presenza di differenze e squilibri locali tutt’ora rilevanti, oggi le Alpi costituiscono una delle regioni economicamente più sviluppate de’Europa. Quando poi le valutazioni si allargano a parametri di valutazione non solo economici, ma anche di qualità della vita, ecco allora le aree alpine balzare ai primi posti delle classifiche». Insomma tra le cime si vive meglio, altro che montagna povera e severa. E gli architetti si adeguano.

Dalle prime raffigurazioni di architettura alpina dove lo Swiss Style, lo chalet svizzero, la fa da padrone, fino alle odierne Cantine Rotari a Mezzocorona, in Trentino, opera di Alberto Cecchetto - tanto per fare un esempio - l’immaginario legato all’abitare monti e valli ha fatto decisamente passi da gigante. De Rossi e Dini fotografano, schedano e descrivono 219 esempi di architettura alpestre contemporanea lungo tutto l’arco alpino.

Nelle nostre zone troviamo esempi soprattutto in Slovenia e Austria, anche se non manca il Friuli Venezia Giulia, con il cimitero di Timau-Cleulis, a Paluzza, degli architetti Ceschia & Mentil. Ma è ad Occidente, e proprio in Svizzera, che prendono piede gli stili più innovativi e audaci legati nei nuovi modi di abitare la montagna. Come la Casa Lötscher-Willimann degli architetti Bearth & Deplazes nei Grigioni, che porta quasi all’estremo l’idea di residenza a sviluppo verticale con un edificio che assomiglia a una torre medioevale. O la Casa a Lostallo dello studio Teamwork Architetti, completamente avvolta da lamelle in legno che la rivestono come un guscio.

«Paradossalmente - continua Dini - si può dire che in montagna gli architetti possono ancora trovare un terreno ideale di ricerca e sperimentazione di forme contemporanee, visto che gli spazi urbani sembrano ormai aver esaurito le possibilità di modificare il rapporto con l’ambiente. La montagna, invece, consente di pensare un progetto in cui sondare il limite delle proprie possibilità costruttive e trasformative dell’ambiente». Del resto nelle metropoli non si sono rocce verticali, neve, vento e valanghe con cui dover fare i conti.

Dopo gli chalet svizzeri dell’800 e gli edifici a falda unica aperti verso il paesaggio dei primi decenni del ’900, una volta tramontata la fase del turismo di massa e dell’urbanizzazione quantitativa delle Alpi iniziata negli anni ’50, oggi l’architettura alpina per andare avanti torna alle origini. Senza però ideologiche aderenze alla tradizione, rivendicando in primo luogo «la concretezza della logica costruttiva» e, certo, «l’adeguatezza nei confronti del contesto locale e della contemporaneità».

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