L’architetto Byrne reinventa il Porto Vecchio

L’archistar portoghese che ha progettato il recupero dell’aera lancia un appello alla città: «Trieste non chiuda il suo cuore dietro un muro»

«Dovreste interrogarvi sul fatto che questo è l'ultimo porto antico di impianto monumentale da recuperare in Europa. Una opportunità immensa di rifondare la centralità e il destino di Trieste. Una opportunità grande quanto la responsabilità storica di saperla cogliere». Gonçalo Byrne non ha l’attitudine, lo stile, nemmeno il tono di voce del polemista o dell’archistar militante. Soppesa le parole, il suo periodare in italiano è elegante quanto efficace. Senza eccessi, persuaso che la forza delle cose basta a interrogare intelligenze e coscienze. Chissà se basta, però, nella Trieste carica di decenni di disillusioni, di incanti e verità tradite. Ma l’architetto portoghese, che qualche mese fa è stato incaricato dal concessionario Portocittà di studiare il Porto Vecchio di Trieste e ne stava immaginando il futuro possibile, ancora rifiuta l’idea – anzi: la realtà – che il processo sia già abortito e che non sarà chiamato a redigere alcun progetto. Portocittà, infatti, chiede al Tar di dichiarare la “nullità” del contratto con l’Autorità portuale.

Un fallimento ancora, sorta di ulteriore pietra miliare di una strada che conduce al baratro. Ma Byrne prova comunque a ragionare, a discutere degli argomenti che hanno generato la rottura del contratto e, soprattutto, prova a illuminare la boa che Trieste ha dinanzi alla sua rotta storica: sulla boa sta scritto “Porto Vecchio”.

Prendiamo in esame da principio la questione del Punto franco, che secondo Portocittà va spostato perché impedisce la realizzazione di qualsivoglia progetto di recupero urbano e che, invece, a parere dell’Autorità portuale è una peculiarità triestina da salvaguardare.

«Il Punto franco esiste in altre città di mare – dice Byrne - ma non nei centri cittadini. Difficile tenere attività di portualità pesante nel tessuto urbano perché implica lo spostamento di camion e treni, oltre che attività di dogana e l’esclusione sostanziale dalla città. L’isola di Madeira per esempio ha un punto franco, ma non sta mica a Funchal ossia nella città storica. Il Punto franco è funzionale alla manipolazione di merce, ma come si fa a pensare che sia possibile in pieno centro città? Non sarebbe più semplice e sensato spostare il Punto franco nel porto nuovo? Ma chi può essere così fuori dalla storia da pensare di sequestrare ancora il porto antico di Trieste, da tenerlo chiuso rispetto alla città? Il Punto franco per propria pretende un recinto chiuso. Possibile che Trieste non abbia altri spazi diversi da Porto vecchio dove mettere il punto franco?».

Va da sé che Byrne pone domande retoriche, che a suo avviso dovrebbero avere una risposta semplicissima. Tanto più in una città che è piena di contenitori vuoti e di aree senza destinazione alcuna. Ma nella città di Penelope, nulla è semplice e tutto sempre ritorna da capo come in un infinito e allucinato gioco dell’oca. E che importa se nel frattempo la città sta franando e negando la sua storia e il suo destino possibile?

Byrne legge il caso-Trieste come una sorta di fotogramma. Fotogramma prezioso e a suo modo unico, ma tuttavia frammento di un film. Un quadro di una galleria che tiene dentro nella lettura di Byrne, oltre ai casi celebri e più citati di Amburgo o Genova, anche le vicende di recupero di water-front concepite per Ile de Nantes, Vancouver, Buenos Aires, Auckland. E ovviamente chiama in causa altri casi come Lisbona e Barcellona, in cui ha avuto parte diretta. Al grande architetto portoghese interessa rimarcare come «l’economia sia oggi essenzialmente un fenomeno urbano», poiché se è vero che «i grandi centri di produzione economica sono le aree metropolitane», ecco che la fascia costiera da Marsiglia a Valencia configura un arco urbano, così come il segmento chiamato Bos-Wash (Boston-Washington). Ma qui viene la sottolineatura e il parallelo con Trieste: tutti i casi di recupero di water front sopra detti comportano «il dispiegamento di potenzialità del motore urbano e la generazione di una interna capacità di attrazione economica». Solo chi non vuol vedere, dunque, può pensare di tenere il motore racchiuso tra mura. Tale è la condizione, anzi lo status giuridico del Porto Vecchio triestino finché permane il regime di Punto franco, poiché - per dirla con Byrne - l’antico scalo triestino è stato per forza di cose isolato dalla città, con una vita sua tipica delle fabbriche.

Trieste e Porto Vecchio sono stati sempre separati da un muro. Ma partecipano della medesima straordinaria potenza di storicità e di identità. «Qui e lì si respira una eccezionale esperienza urbana di ambito europeo – dice Byrne - una delle più importanti tra ‘700 e '800. A me pare che il piano del borgo Teresiano sia molto simile, nella sua impronta illuministica e nella sua porosità urbana, alla Lisbona immaginata dal marchese di Pombal per la ricostruzione della città distrutta dal terremoto del 1755. Ebbene, la connessione tra Porto vecchio e Borgo Teresiano è già scritta nelle mappe della città, poiché il sistema di vuoti lasciati fino a oggi entro lo scalo ha una fortissima continuità con la trama della città storica. Ovvio che le scale sono diverse, perché la rete delle strade e degli slarghi era determinata dalle esigenze delle attività industriali. Ma quel che emerge dalla lettura urbanistica è una predisposizione incredibile in chiave di riuso a fini urbani».

Byrne ha conosciuto da vicino il caso di Lisbona poiché per motivi professionali e di docenza ne ha approfondito il ridisegno della fascia portuale. Ma l’architetto portoghese ha lavorato anche al recupero della linea d'acqua a Lagos (in Algarve); per 3-4 anni ha fatto parte della giuria che, per conto del Comune, discuteva con i progettisti gli elaborati per il water front di Barcellona; ha studiato il recupero dei magazzini più vecchi del porto di Buenos Aires; attualmente sta predisponendo il piano urbanistico di Algeri. Dentro a questo excursus di straordinaria ricchezza, le vicende dell’organismo urbano di Trieste, fatto di due parti sin qua separate e però già perfettamente intrinsecamente interconnesse, l’hanno appassionato. Dice che la storia di Porto Vecchio «ha potenzialità straordinarie se non uniche». E poiché «nessuno può presumere di possedere il passepartout di un fenomeno tanto complesso come una città», e poiché «occorre sempre ascoltare e non pensare di avere l’unica chiave interpretativa», Goncalo Byrne ha deciso di dedicare proprio al Porto Vecchio, e in particolare all’area in concessione a Adriaterminal, il corso che tiene al Politecnico di Milano. Vuole ascoltare e parlare con i giovani che seguiranno il corso di uno dei luoghi urbani “più affascinanti e derelitti” dell’Europa di oggi. Il workshop inizia a aprile. Oltre che per architetti, urbanisti e storici vi sarebbe materia anche per psichiatri. Agli uni e agli altri, potremmo sottoporre un tema ulteriore: come mai tanti sigilli identitari di Trieste - dalla rovina di tanti palazzi di Pertsch, ai monumenti itineranti, fino alle fontane private tutte dell'acqua, fino appunto al Porto Vecchio - sono stati occultati o vilipesi?

p_possamai

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