L’appello di Cino Ricci «Il mio Adriatico malato Basta inquinamento o sarà troppo tardi»

Parla l’ex skipper di Azzurra, personaggio simbolo della vela italiana e profondo conoscitore delle tematiche legate all’ecosistema

Piero Tallandini
Cino Ricci
Cino Ricci

TRIESTE «Il mare è ormai un malato gravissimo, forse già incurabile a causa di inquinamento e riscaldamento globale. L’alto Adriatico, da Bibione e Lignano a Muggia, è sicuramente messo un po’ meglio, ma la situazione di questo passo non potrà che peggiorare e tra qualche decennio anche piazza Unità a Trieste potrebbe rischiare di finire sott’acqua».

Non nasconde il proprio pessimismo Cino Ricci, indimenticato skipper di Azzurra, personaggio simbolo della vela italiana e soprattutto profondo conoscitore del mare, il “suo” elemento, quello di cui si professa ancora «un innamorato». Alla soglia delle 87 primavere il velista romagnolo, notissimo anche come telecronista sportivo, è anche un autorevole “opinion leader” sulle tematiche legate all’ecosistema: «Leggo in continuazione, il più possibile. Cerco di approfondire e poi di mare ne ho visto e continuo a vederne tanto. Insomma, penso di essermi fatto un’idea chiara della situazione e del resto i più recenti responsi forniti dagli esperti, compreso l’ultimissimo studio della Nasa, parlano chiaro: sta cambiando in peggio e non possiamo più controllarlo».

Da esperto uomo di mare, ha potuto constatare direttamente questo peggioramento?

«Sì, ormai da anni. Certe problematiche si riescono a vedere a occhio nudo, a cominciare dalla quantità di plastica che troviamo in acqua. Il pesce è sempre meno numeroso e c’è il problema del fango, spesso inquinato, che si accumula sui fondali. E poi c’è ovviamente la questione dell’innalzamento del livello del mare causato dal riscaldamento del nostro pianeta e la cui correlazione con l’inquinamento prodotto dall’uomo è innegabile».

L’Adriatico, e in particolare la costa del Friuli Venezia Giulia, sembra però stare meglio...

«Non c’è dubbio che il mare del golfo di Trieste e i tratti da Grado a Bibione siano in condizioni meno preoccupanti, come dimostrano le bandiere blu assegnate puntualmente alle spiagge e lo stesso monitoraggio di Legambiente. Ma non bisogna abbassare la guardia. È vero che l’alto Adriatico per ora è rimasto al riparo da fenomeni di inquinamento massivo che riscontriamo altrove, ma il mare non è un’entità che si può circoscrivere. I rifiuti, la “robaccia”, viaggiano sulle onde, vengono trasportati dal vento e non ci sono aree al sicuro. Ecco perché dico che ognuno di noi deve fare la propria parte».

In che modo?

«Anzitutto contribuendo a limitare l’uso della plastica e smaltendola nel modo più corretto. Molto apprezzabili sono le iniziative che coinvolgono i comuni cittadini e le associazioni che volontariamente si mettono a disposizione per raccogliere plastica e altri rifiuti che si accumulano sulle spiagge. Poi gli enti preposti devono continuare a investire per sanificare il fondo del mare dove si accumulano fanghi in cui c’è di tutto. Però questo, ovviamente, non può bastare. I Governi devono uscire dalla logica dell’egoismo».

Serve un piano di investimenti per “curare” il mare, gestito a livello globale?

«Certo è l’unica strada. I singoli Stati hanno i loro interessi economici e nessuno ha il coraggio di investire miliardi per combattere l’inquinamento se gli altri non lo fanno. Ecco perché i Governi devono smetterla di guardare solo al proprio orticello e accordarsi su un piano di investimenti, parlo di centinaia di miliardi, da attuare su scala mondiale. E devono farlo subito, altrimenti il nostro mare, così come lo abbiamo conosciuto, tra pochi anni sarà solo un ricordo».

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