L’appello della sorella di Ramon: vogliamo la verità, si faccia presto

Consuelo Polentarutti chiede giustizia: «Sono oltre due anni che viviamo nell’angoscia più straziante Mi chiedo se la persona che ha fatto a pezzi e bruciato mio fratello possa essere ancora libera»
Di Laura Borsani

«Chiediamo giustizia, la verità su cosa è accaduto a Ramon. Sono più di due anni che viviamo nel baratro, un’angoscia infinita. Una lotta quotidiana. È passato tanto tempo, troppo, e non sappiamo neppure se quanto rinvenuto nel cortile di via Carducci, abbia a che fare con nostro fratello...». Parla con un filo di voce, rotto dal pianto. Un dolore profondo, insostenibile, ma che non le toglie comunque la forza di voler andare fino in fondo con questa tragedia allucinante. Consuelo Polentarutti, una delle sorelle di Ramon, chiede di far presto. Di poter quanto prima consegnare ai famigliari una risposta chiara sul destino del loro caro. È duro, straziante tenere il passo con il susseguirsi degli eventi. Scoprire via via particolari agghiaccianti che annientano con la potenza di continue pugnalate.

Ritornare sui tanti ricordi e sugli incalzanti, ossessionanti, interrogativi è un vero e proprio calvario. C’è molta dignità e riserbo nelle parole di Consuelo, proprie di una famiglia che mantiene il dovuto rispetto e fiducia nell’azione della magistratura: «La Procura sta eseguendo indagini non indifferenti - osserva -. Ma non si può aspettare mesi per un risultato di Dna. Nostra madre è malata... Ci siamo rivolti a “Chi l’ha visto?” per chiedere aiuto, per lanciare l’appello affinchè chi possa sapere qualcosa, anche solo mettere a fuoco dei particolari nonostante il tempo trascorso, si faccia avanti in qualche modo. Vogliamo che si faccia presto, vogliamo mettere fine a questa terribile tortura». Consuelo aggiunge: «Non siamo certo noi a dover giustiziare qualcuno. Non credo, però, che chi ha fatto una cosa del genere a nostro fratello, fatto a pezzi e bruciato, per poi venire gettato nel canale Valentinis, possa avere la coscienza tranquilla. Comunque sia morto Ramon, tutto questo resta una mostruosità alla quale non vogliamo rassegnarci. Di fatto non abbiamo ancora il corpo di nostro fratello, solo poveri resti, quelli rimasti impigliati nella Centrale».

Già, i resti nella Centrale. «Alcuni pescatori - osserva Consuelo - avevano trovato altri sacchi nel canale, praticamente un anno prima. Mi chiedo dove fosse il corpo di Ramon in tutto quel tempo. E se una persona che abbia compiuto un’azione così mostruosa possa essere lasciata libera. Se non fosse stato per quei resti trovati nel canale, cosa ne sarebbe stato di Ramon? Fin dai primi giorni della scomparsa, a cercare e chiedere informazioni, ci dicevano che Ramon era partito, che era andato in Spagna... Mia madre ne era convinta, se la sentiva: Ramon è qui vicino...». Consuelo ringrazia quanti, quotidianamente, esprimono alla famiglia affetto e solidarietà. E ringrazia la donna che ha voluto raccontare di quell’anomalo odore di bruciato proveniente dal cortile dell’abitazione di Roberto Garimberti: «Credo che altre persone se ne fossero accorte. Sono passati due anni, il tempo cancella molte cose, ma forse non tutto. Se i poliziotti, anzichè accontentarsi delle spiegazioni di Garimberti che disse di bruciare sterpi, avessero insistito con le verifiche, forse non saremmo a questo punto. Si tratta anche di costi non indifferenti per queste indagini». Sono molti e nuovi gli interrogativi. Tanti aspetti che non quadrano. Quel falò e la parete “macchiata” di rosa, «quando mio fratello ridipinse l’appartamento avuto in affitto». E si chiede: «Dove sono finiti i materassi? Gli effetti personali e i vestiti di Ramon? Il cellulare del padre, la tivù, l’oro e quant’altro? Ad oggi non abbiamo proprio nulla».

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