L’appello degli sloveni ai ministri degli Esteri per il Narodni Dom: «Deve tornare a noi»
TRIESTE Il Narodni Dom deve tornare alla minoranza slovena, lo dice l’articolo 19 della legge 38 del 2001. Lo scrivono in una lettera Rudi Pavšic, presidente Skgz (Slovenska kulturno-gospodarska zveza – Unione Culturale economica slovena), e Walter Bandelj, presidente Sso (Svet slovenskih organizacij – Confederazione delle organizzazioni), a Enzo Moavero Milanesi e Karl Erjavec, rispettivamente ministri degli Esteri di Italia e Slovenia.
Nel documento si ricorda che l’impegno era già stato preso dai predecessori, Angelino Alfano e Fran Erjavec, rimarcando che ci sarebbe già la disponibilità dell’Università di Trieste. Al Narodni Dom dovrebbero trovare casa la Glasbena matica – Centro musicale sloveno, e la Narodna in študijska knjižnica – Biblioteca nazionale e degli studi, oltre a «un centro multiculturale che – spiegano i due presidenti – confermerebbe la tradizione multilingue della nostra città che diventerebbe così simbolo di convivenza».
Per capire la storia dell’edificio di via Filzi bisogna tornare al 1874, a San Giovanni: Ivan Dolinar fonda l’associazione patriottica Edinost, che due anni dopo crea l’omonimo periodico in lingua slava poi trasformato in quotidiano. Gli jugoslavi, secondo alcune ricostruzioni, erano esclusi dalla sfera pubblica e per questo si creò una comunità autonoma sia economicamente che culturalmente. Il palazzo di via Filzi nasce da un progetto del 1902 di Max Fabiani, finanziato ad alcuni imprenditori dalla banca jugoslava, e venne inaugurato nel 1904. Era considerato un simbolo per la comunità, con un albergo, due ristoranti, un caffè, un teatro, una scuola di musica, una banca, una sala lettura, la redazione di Edinost e poi uffici, studi e appartamenti.
All’epoca quella zona era molto diversa: palazzo Vianello (costruito nel 1923) e piazza Oberdan non esistevano, c’era la piazza delle Caserme. Il 13 luglio del 1920 il clima è teso, in ballo c’è la questione di Fiume. Francesco Giunta, segretario cittadino del partito fascista, convoca, dopo l’uccisione di due militari a Spalato, un comizio nel quale attacca: «Ora si deve agire. Abbiamo nelle nostre case i pugnali ben affilati e lucidi, che deponemmo pacificamente al finir della guerra, e quei pugnali riprenderemo per la salvezza dell’Italia. I mestatori jugoslavi, i vigliacchi, tutti quelli che non sono con noi ci conosceranno (…)».
Verso la fine viene annunciato che Giovanni Nini, cuoco della trattoria Bonavia e considerato un ex combattente, è stato ucciso da uno slavo. La folla è inferocita e dopo l’attacco in via Mazzini al consolato jugoslavo si sposta al Narodni Dom “difeso” da 400 militari. Dalle finestre partono dei colpi di fucile e una bomba che uccide il tenente dei Carabinieri Luigi Casciana. I militari a quel punto rispondono al fuoco e alcuni fascisti riescono a incendiare l’edificio. Nelle fiamme rimane ucciso il farmacista Hugo Roblek. Un «tragico spettacolo» come lo definisce Giani Stuparich. L’esproprio alla comunità slovena è decretato nel 1927 e l’edificio diventa l’hotel Regina su progetto di Camillo Jona che conserva solo le facciate, i marmi dei pavimenti e una scala con la gabbia dell’ascensore. Nel 1976 l’acquisto dello stabile da parte della Regione e poi la cessione all’Università degli Studi di Trieste, che ne fa la sede della Scuola superiore di lingue moderne per interpreti e traduttori. —
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