Lapidario, la rabbia di una città

Il sindaco Romoli durante la cerimonia al parco della Rimembranza: «Con quelle scritte oltraggiose sulle foibe offesa tutta la nostra comunità». La figlia di una vittima: «Governo assente»
Bumbaca Gorizia 03.05.2015 Ricordo deportati al Lapidario Fotografia di Pierluigi Bumbaca
Bumbaca Gorizia 03.05.2015 Ricordo deportati al Lapidario Fotografia di Pierluigi Bumbaca

La rabbia di una città offesa. Un atto vandalico «che ha aggiunto dolore a dolore». Il Comune di Gorizia ha provveduto a cancellarle ma è come se la scritta “Fasci in foiba” e il simbolo della falce martello fossero ancora stati presenti sul Lapidario, sui nomi incisi nella pietra dei 665 deportati dai partigiani titini che furono poi fucilati o infoibati.

Il sindaco Romoli, durante la cerimonia al Parco della Rimembranza svoltasi nel tardo pomeriggio di ieri, ha dato voce al profondo sdegno causato da chi si è reso protagonista «di quest’insulto infame e osceno. È sembrato volesse dirci che “non è finita” e che dobbiamo stare attenti perché ce n’è per tutti. Gorizia è stata offesa. Questa è una tomba e qualcuno ha voluto deturparla».

Il primo cittadino, pur non facendo nomi, ha puntato il dito contro le «troppe prese di posizione tiepide» che si sono registrate in questi giorni. «Sembra che qualcuno addirittura approvi quanto è successo. Ma noi qui siamo in tanti». E, infatti, erano anni che non si vedeva una partecipazione così vasta alla cerimonia promossa dal Comitato congiunti deportati in Jugoslavia. E non sono mancati momenti di commozione quando lo stesso sindaco ha puntato il dito contro i Governi italiani e sloveni che si sono succeduti e che «non sono stati capaci di arrivare alla verità. Questo è stato un tentativo di pulizia etnica - le sue parole che hanno suscitato i convinti applausi dei presenti -. Sono passati 70 anni e nessuno si è interessato a questa tragica vicenda, quasi fosse una vergogna da nascondere. Si sperava che con la caduta del muro di Berlino le cose cambiassero e si arrivasse alla verità ma tutte le speranze sono andate deluse».

Cerimomia al Lapidario: Romoli attacca l’Anpi
Un operaio al lavoro per ripulire il Lapidario (Bumbaca)

La cerimonia, molto semplice, è consistita nella deposizione di una una corona da parte delle autorità per onorare la memoria dei deportati in Jugoslavia a guerra finita. Momenti seguiti in totale silenzio.

Clara Morassi Stanta, l’anima del Comitato dei congiunti dei deportati, non ha voluto mancare alla cerimonia. E ha dedicato alcune riflessioni al vile atto ai danni del Lapidario, partorito - sono state le sue parole - «dalla miseria mentale di qualcuno. Siamo rimasti in pochi ad aver vissuto quell’immane dramma ma siamo e saremo sempre ben rappresentati». E non ha esitato a definire “martiri” le centinaia di persone deportate in Jugoslavia. Si è dato quindi lettura ad una lettera inviata dalla presidente della Regione Debora Serracchiani. Nessun riferimento all’atto vandalico ma l’annuncio che non avrebbe potuto essere presente alla cerimonia per concomitanti incontri istituzionali. «E di questo sono rammaricata», ha scritto la governatrice.

Chiusa la parentesi ufficiale della cerimonia, c’è stato lo spazio per un fuoriprogramma. Protagonista Annamaria Giordano, componente del Comitato e figlia di un deportato, il signor Raffaele. Ha stigmatizzato l’assenza di rappresentanti di Governo. «Nessuno, da Roma, ha ritenuto di dover partecipare - le sue parole -. Così come è criticabile l’assenza del presidente della Slovenia Pahor che, in altre occasioni, ha dimostrato di essere sempre presente». Parole accolte dagli applausi. Annamaria Giordano ha iniziato poi a intonare l’Inno d’Italia e tutti i presenti l’hanno seguita in coro. Fra occhi lucidi e sguardi pensierosi rivolti al Lapidario.

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