L’antropologo Forth e l’affascinante storia dello Hobbit

Gli ultimi resti datati di Homo floresiensis risalgono a 12 mila anni fa, ed è quindi affascinante pensare che lo Hobbit continuava a esistere in un’epoca in cui Homo sapiens si era già ben stabilito nelle altre parti dell’Asia
Mauro Giacca
Mauro Giacca ieri alla presentazione di Science&theCity
Mauro Giacca ieri alla presentazione di Science&theCity

TRIESTE Pubblicato soltanto questa settimana, l’ultimo libro dell’antropologo Gregory Forth ha già scatenato la discussione degli accademici e la curiosità degli appassionati di storie misteriose. Forth è un professore dell’Università di Alberta, in Canada, ora in pensione. A partire dagli anni ’80, ha passato lunghi periodi vivendo tra gli indigeni dell’isola di Flores, in Indonesia. Nel libro appena pubblicato (“Between Ape and Human: An Anthropologist on the Trail of a Hidden Hominoid”, Pegasus Book), racconta di come in quegli anni avesse ripetutamente sentito dagli indigeni storie su strani esseri viventi, con sembianze metà umane e metà scimmiesche, che vivevano nelle grotte e nelle foreste sulle pendici vulcaniche dell’isola. Nel libro, Forth riporta anche l’intervista con un indigeno che affermava di aver seppellito il corpo di una creatura che non era né una scimmia né un uomo, ricoperta di pelo chiaro, con un naso ben formato e una coda solo accennata. Negli anni, l’antropologo ha raccolto una trentina di testimoni oculari di questa strana creatura.

Fin qui la storia fa sorridere, e ricorda quelle di altri esseri mitologici o leggendari, come Bigfoot, il grande uomo-scimmia delle foreste tra il Canada e gli Stati Uniti, o Yeti, l’uomo abominevole delle nevi delle montagne dell’Himalaya. Se non fosse che, nel 2003, un team australiano-indonesiano di antropologi, scavando nell’isola di Flores alla ricerca delle tracce della migrazione di Homo sapiens (la nostra specie, unica specie umanoide rimasta oggi sul pianeta) dall’Africa all’Australia, si è imbattuta in una serie di reperti inaspettati.

Nella cava di Liang Bua, gli antropologi trovarono i resti di uno scheletro quasi completo di un individuo di sesso femminile con una combinazione di caratteristiche uniche. Aveva un cranio piccolo, circa un terzo di quello di un umano moderno, un corpo alto soltanto 106 centimetri, un peso stimato di 29 chili, una mascella robusta e le ossa e le articolazioni che ricordavano quelle degli scimpanzé (il Museo di Storia Naturale degli Smithsonian Institutes di Washington espone una ricostruzione della testa di questo piccolo uomo-scimmia).

Per la sua grandezza, a questa creatura fu affibbiato il soprannome di “The Hobbit”, tratto dal personaggio di Tolkien nell’omonimo romanzo e nel “Signore degli anelli”. Quella dell’Homo floresiensis, come fu chiamato scientificamente lo Hobbit, fu considerata la più straordinaria scoperta archeologica nel campo dell’evoluzione umana degli ultimi 100 anni, in quanto questi esseri non erano imparentati né ai Neanderthal né a Homo sapiens (noi uomini moderni), ma rappresentavano una specie di ominidi separata, che si era evoluta in maniera indipendente.

La storia recente dell’evoluzione umana vede due successive migrazioni fuori dall’Africa, la prima avvenuta circa 300 mila anni fa da parte di quelli che sarebbero divenuti i Neanderthal in Europa e i Denisovan in Asia, seguita da una seconda migrazione circa 80 mila anni fa da parte di Homo sapiens, quest’ultimo così dominante da soppiantare la specie precedente. La cosa straordinaria è che alcuni dei resti di Homo floresiensis datano oltre 700 mila anni fa, facendo quindi pensare che lo Hobbit sia l’ultimo diretto discendente di una specie molto più primitiva di essere umano, Homo erectus, migrata fuori dall’Africa 1,8 milioni di anni fa e poi estinta. Il motivo per cui lo Hobbit è di piccole dimensioni potrebbe essere dovuto a un fenomeno noto come l’“effetto isola”, per cui, quando si vengono a trovare in ambienti isolati, gli organismi di dimensioni piccole vanno incontro a gigantismo e quelli di dimensioni grandi a nanismo. Sulla stessa isola di Flores, sono stati trovati i resti di una specie estinta di elefante nano, lo stegodon, e vive ancora il ratto gigante di Flores, 8 volte più grosso di un ratto normale.

Gli ultimi resti datati di Homo floresiensis risalgono a 12 mila anni fa, ed è quindi affascinante pensare che lo Hobbit continuava a esistere in un’epoca in cui Homo sapiens si era già ben stabilito nelle altre parti dell’Asia, e aveva già soppiantato i Neanderthal e Denisovan che lo avevano preceduto. Insieme agli scheletri, sono stati ritrovati anche utensili, il che fa pensare a un ominide già evoluto, anche per difendersi dai feroci dragoni di Komodo che tuttora sono presenti nell’adiacente isola di Komodo e nell’isola di Flores stessa, lucertole giganti carnivore che possono raggiungere 3 metri di lunghezza e 100 chili di peso, in grado di correre fino a 20 chilometri all’ora e salire sugli alberi per raggiungere le loro prede.

Nel suo libro ora Forth sostiene l’azzardata possibilità che gli ultimi esemplari dello Hobbit potrebbero essere ancora in giro nelle foreste dell’isola, a dare credito alle leggende che circolano tra gli indigeni locali. L’ipotesi è suggestiva, ma francamente poco credibile, se si considera che l’isola di Flores oggi ha più di 2 milioni di abitanti in un’area pari a due volte il Friuli Venezia Giulia, in cui difficilmente l’esistenza dello Hobbit passerebbe inosservata. Ma la storia naturale dell’isola di Flores e dell’Homo floresiensis rimane comunque del tutto affascinante nelle sue molteplici sfaccettature.

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