L’annuncio rivoluzionario, poi il Muro crollò, dall’incubo alla libertà tutto in una notte

Trent’anni fa la caduta delle barriere: quel 9 novembre segnò la riunificazione della Germania e la distensione tra l’Occidente e l’Est del mondo
BERLINO 9 NOVEMBRE 1989 LA CADUTA DEL MURO DI BERLINO FOTO DI © ANTONELLO NUSCA/SINTESI THE FALL OF BERLIN WALL
BERLINO 9 NOVEMBRE 1989 LA CADUTA DEL MURO DI BERLINO FOTO DI © ANTONELLO NUSCA/SINTESI THE FALL OF BERLIN WALL

BERLINO. Che quello non fosse un 9 novembre come tutti gli altri, al Ministero dell’Interno della Germania Orientale, se ne accorsero verso le 9 del mattino, quando quattro ufficiali attraversarono a passo spedito i corridoi per chiudersi in un ufficio con un compito ordinato direttamente dal Politburo centrale, quindi in accordo con Mosca: redigere nuove regole di viaggio per chi voleva andare da Est a Ovest.
Da diverse settimane di quel 1989 il blocco orientale era infatti attraversato da una serie di scosse che da Est puntavano a Ovest. In Ungheria erano state aperte le recinzioni al confine con l’Austria, e le persone avevano cominciato a sciamare verso Vienna.

Anche dalla Polonia e dalle zone di confine della Germania Est si erano create delle falle nei controlli, in molti si erano messi in viaggio. Il presidente del Consiglio della Ddr e segretario del partito unico Sed continuava a negare l’evidenza, ma quando le richieste di espatrio diventarono talmente tante che si rischiava il caos ferroviario ha dovuto arrendersi e chiedere “nuove regole per i permessi di viaggio”.

I quattro ufficiali addetti al lavoro le stilarono seguendo le istruzioni e poi le presentarono al segretario generale del partito Egon Krenz, numero due del regime, il quale le lesse pubblicamente al Comitato Centrale che le approvò e diede ordine al segretario distrettuale di Berlino Guenther Schabowsky di convocare una conferenza stampa. Le stesse procedure che per oltre quarant’anni avevano garantito la chiusura della Ddr al mondo esterno dell’Occidente stavolta avevano dato vita a un documento che ne avrebbe garantito l’apertura.

Sembrava incredibile, e in parte lo era per gli stessi protagonisti: Schabowsky lesse le nuove regole quasi senza capirle: «Le frontiere da Est a Ovest possono essere oltrepassate senza che sia richiesto il documento di espatrio». Un giornalista italiano, Riccardo Ehrmann, dell’Ansa, al termine della burocratica lettura fece la domanda delle domande: «Scusi, da quando?».

Schabowsky si rese conto di non aver avuto dettagli al riguardo, cercò dei foglietti tra le tasche, era visibilmente accaldato. Alla fine rispose quasi alzando le spalle: «Ab sofort», da subito. Erano le 19.05 del 9 novembre 1989 quando l’agenzia americana Associated Press fece un lancio destinato a passare alla storia: “La Ddr apre i confini”.

Da quel momento in poi, a Berlino, le persone cominciarono a scendere in strada e ad avvicinarsi ai checkpoint. La situazione rimase confusa per molte ore: le guardie di frontiera non erano state avvertite, ci furono scene di tumulto, scontri, qualcuno si fece male.

Nel frattempo, all’ambasciata sovietica che dominava l’arteria berlinese di Unter den Linden i diplomatici avevano avuto da Mosca un’indicazione chiara: l’Armata Rossa stavolta non sarebbe intervenuta. Non sarebbe stato un altro 17 giugno (quello del 1953, quando una rivolta di operai berlinesi fu repressa con la forza dai tank sovietici), né sarebbe stata un’altra primavera di Praga, che vide la stagione delle riforme avviate da Dubcek nel 1968 chiudersi nel sangue, sempre per mano delle forze armate del Patto di Varsavia.

Stavolta Gorbaciov, ultimo segretario del Partito Comunista sovietico, si sarebbe comportato diversamente, in linea con la Perestrojka e la Glasnost, all’inseguimento di quel socialismo riformista che si rivelò utopia irrealizzabile. «Capii che per la Germania era venuto il tempo di ritrovare la sua unità – disse Mickail Gorbaciov più tardi ripensando a quei giorni – e in molti eravamo convinti che la riunificazione tedesca potesse essere positiva per gli equilibri dell’URSS, anche se poi non fu così».

Le ultime resistenze, a Berlino, crollarono verso le 11 e mezzo di sera, quando i singoli comandanti, di loro iniziativa, in assenza di ordini dall’alto, decisero di aprire tutti i check point della città: l’ondata di gente fu incontenibile, le scene di riunificazione struggenti, lo smarrimento, la gioia, l’entusiasmo incontenibili.
Il consigliere della sicurezza nazionale dell’allora presidente americano George Bush, Brent Scowcroft, ammise che la notizia prese di sorpresa anche la Casa Bianca: «Furono i russi a informarci, ma ho saputo che anche il cancelliere Kohl non fu tra i primi a saperlo».

Mentre nelle strade di Berlino la gente scandiva lo slogan “Wir sind das Volk”, noi siamo il popolo, il Parlamento di Bonn, quella sera, dopo aver saputo quanto stava accadendo, chiuse la seduta intonando l’inno nazionale tedesco. Non per una sola Germania, ma per tutte e due, e per il popolo tedesco, di nuovo uno.

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