L’analisi dell’ex capo del Dipartimento per l’immigrazione Morcone: La partita ideologica che Roma vuol combattere a Nordest è fuori dalla realtà»

E aggiunge: «Una scelta che va contro la storia e i valori dell’Italia. Così non si risolve nulla»
Mario Morcone, in una foto d'archivio. ANSA/CESARE ABBATE
Mario Morcone, in una foto d'archivio. ANSA/CESARE ABBATE

TRIESTE «Una scelta contro la nostra storia». Mario Morcone è stato capo del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione al Viminale nell’era dell’accoglienza diffusa e non esita a contestare il nuovo corso, quello di Matteo Salvini ministro dell’Interno, con tanto di proposta di muro in stile Trump tra Italia e Slovenia. Un’ipotesi alla quale Morcone, attuale direttore dell’ente umanitario Cir, Consiglio italiano per i rifugiati, non vuole credere. E che considera pure di difficile realizzazione.



Morcone, che ne pensa del piano del ministro Salvini?

Se mai diventerà un’ipotesi concreta, perché per adesso è solo un’idea lanciata nel dibattito, sarebbe un’iniziativa tale da contraddire storia, valori e cultura italiani. Senza contare che renderebbe molto più complicati i rapporti con altri paesi europei, con i riflessi sul Trattato di Schengen e la libertà di movimento.

Teme che dall’idea si arriverà a qualcosa di concreto?

L’auspicio è che si sia trattato di un intervento più politico che tecnico. Altrimenti dovremmo davvero preoccuparci. Fermo restando che la realizzazione di una separazione con la Slovenia mi pare difficile.

Difficile o impossibile?

Non conosco bene il territorio, ma immagino si debbano chiudere tutti i boschi che dividono Trieste e Gorizia dalla Slovenia. Tra l’altro in una fase in cui si sono consolidati, con grande fatica, intelligenza e pazienza, ottimi rapporti con la vicina Repubblica. Direi perfino di fratellanza con un popolo amico, dopo precedenti, inevitabili pregiudizi. La partita ideologica che il governo pare intenzionato a combattere anche a Nord Est non ha nulla a che vedere con la realtà.

Più in generale come giudica la gestione del fenomeno immigrazione da parte di Roma?

La premessa è che non c’è alcuna emergenza. Quello che serve è mettersi al tavolo e costruire una politica dell’immigrazione compatibile con le nostre possibilità di accoglienza. Certamente limitata nei numeri, ma che deve essere frutto di serietà e buon senso, non di atteggiamenti muscolari. Vanno poi ripresi i rapporti non solo con i Paesi europei, rispetto ai quali risultiamo abbastanza isolati, ma anche quelli con i paesi nordafricani, che abbiamo abbandonato mandando alle ortiche il lavoro di tessitura che era stato fatto. Siamo davanti a un fenomeno complesso, che non si può affrontare né con la spada né con la bacchetta magica.

In sintesi, il governo sbaglia?

Mi limito a dire che non condivido quel tipo di politica. Credo non ci porterà da nessuna parte.

I numeri dei migranti in entrata vengono però dati in calo.

Lo sono oggettivamente, e infatti non c’è emergenza. Ma quello a cui si deve puntare è che i numeri scendano con operazioni trasparenti, senza improvvisazioni, sequestro di navi, chiusura di porti, il muro minacciato a Trieste.

Andrebbe ripristinata l’accoglienza diffusa?

Nessun dubbio. Tra l’altro oggi non dobbiamo far fronte a difficoltà in termini di presenze paragonabili a quelle registrate nel 2015 e nel 2016 . —

M.B.

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