L’amore sbocciato allo sportello delle Poste tra sguardi oltre il vetro e cartoline vaglia
TRIESTE «Chi si permette di scriverle è quell’impiegato di posta che ebbe già a pagare a Lei e alla sua Signora mamma delle cartoline vaglia. S’io le dicessi che da quando l’ho veduta ho la quiete e che un desiderio nuovo della vita e speranze nuove ed ardite mi agitano l’animo, lo crederebbe?». Iniziava così la lettera che Antonio Gadda, 24enne sportellista all’ufficio postale di Trieste, aveva scritto a una giovane donna che quasi tutti i giorni, accompagnando la madre, si recava nell’ufficio dei vaglia. Un gesto d’amore di altri tempi, quelli in cui le lettere erano ancora qualcosa di importante e prezioso.
Il documento è esposto al museo delle poste in piazza Vittorio Veneto. Museo che non svela però l’identità dell’amata. Il nome della donna, così come l’esito del corteggiamento via missiva, sono ancora oggi un mistero. Del resto il fascino di alcune storie d’amore è legato proprio al finale tutto da scrivere.
Nella lettera, dopo la domanda retorica, Antonio proseguiva raccontando le sue emozioni dopo aver visto l’amata: «Ed è l’effetto del Suo sguardo pieno d’incanto e della grazia tutta della sua leggiadra persona. Ma una creatura così gentile deve essere anche buona; e si è appunto la confidenza nella Sua bontà che mi dà forza ad aprirle l’animo e a dirle brevemente dell’esser mio». Come si usava all’epoca, alla dichiarazione d’amore l’impiegato allega anche le sue “referenze”. «Sono lombardo ò (all’epoca “ho” poteva essere semplificato appunto in “ò”, ndr) ventiquattro anni ed un impiego modesto, ma sicuro e suscettibile di miglioramento. Non molto robusto ma di buona salute, irascibile ma non privo di cuore, convivo colla mia Mamma vedova d’un impiegato governativo, ed ò un unico fratello impiegato in commercio nell’America».
La lettera dovrebbe essere stata scritta a fine ’800, anche se manca la certezza sull’anno. Certa, invece, la caparbietà dell’innamorato, deciso a non scoraggiarsi nemmeno in caso di rifiuto. «Potessi io - aggiunge - avere splendide doti fisiche e morali ed uno stato tale che mi rendessero più degno di lei; ma quale sono, oso rivolgermele solo perché si compiaccia dirmi schiettamente, quanto è schietta e franca questa mia dichiarazione di affetto, s’io potrò un giorno quando la mia posizione migliorata me lo permetta meglio aspirare alla Sua mano di sposa. Non le tacerò che la speranza che Ella si compiaccia di darmi altra a riempirmi l’anima del più vivo contento, sarebbe lo sprone più efficace a migliorare la mia condizione. Ma - conclude - quale sia per essere la Decisione ch’Ella abbia a prendere a mio riguardo e ch’io attendo con la più viva impazienza, non cesserò di avere quella stima profonda nella quale mi è grato protestarmi di lei, gentilissima signorina».
Una dichiarazione d’amore piena di grazia e leggerezza, insomma. Tratti sempre più rari, oggi, e da tenere a mente. Specie a San Valentino. —
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