L'amicizia transfrontaliera si rafforza anche al poligono
TRIESTE .«Ma cosa volete? Ma sì dai, allora facciamo così: mettiamo in testa al pesce una bandierina slovena e quando si sposta un po’ se ne prende una nuova, croata!». Per Vlado, provocato sulla questione della delimitazione delle acque del Golfo di Pirano tra le due repubbliche ex jugoslave, la soluzione è completamente ironica. E condita da un sorriso aperto verso l’interlocutore e un paio di amici italiani, mentre spalla a spalla un gruppetto di croati sta fumando e pranzando attorno a un tavolo.
Il piccolo e relativamente fresco prefabbricato funge da “ufficio” e posto di ristoro della prima edizione del Trofeo internazionale di tiro “Semper Paratus”, organizzato congiuntamente dalla Sezione di Cervignano dell’Unuci (Unione nazionale ufficiali in congedo d’Italia) e dall’Associazione dei riservisti della Polizia slovena “Sever”. Vlado, ancora in servizio, è tra le figure di spicco del sodalizio d’Oltreconfine: è smontato di turno il giorno prima e riprenderà la sera, dopo la fine dei tiri, che echeggiano in sottofondo, nella cava di Crni Kal, San Sergio, nel Capodistriano a ridosso del confine. Il sito estrattivo ospita da anni il poligono della “Sever”, usato da reparti e riservisti. Lavora “h24” sette giorni su sette e, con un pragmatismo che l’Italia sovranormata ma dove sempre meno gente ha voglia di rispettare e fare rispettare le regole se lo sogna, la gara non interrompe l’attività. Del resto tutto si svolge nella massima sicurezza.
«Come i pesci del Golfo - continua Vlado - noi eravamo sempre qua: sloveni, italiani, croati. Sotto l’Austria per secoli senza neppure confini. Nel Litorale abbiamo sempre vissuto insieme. Sono i politici che rovinano tutto».
Lo supporta Ivica, croato veterano della Guerra d’indipendenza contro l’Armata federale, nonna friulana e un italiano non fluente ma efficace: «Noi con Vlado e gli altri abbiamo cominciato a scambiarci visite e lavorare assieme ben prima dei nostri capi di Stato».
All’esterno si passa dai fucili alle pistole mentre un gruppo dalle uniformi più varie è impegnato in una prova di pronto soccorso su un “figurante” ferito in battaglia.
«Da quando frequentavamo il “Dante” - spiega Claudio Cante, ufficiale triestino della Riserva selezionata dell’Esercito e con il fratello Diego animatore del Trofeo - il salto di mentalità, lo ammetto anche per noi stessi, è stato notevole. Vecchi stereotipi e antiche ruggini, almeno noi e tanti altri come noi, li abbiamo superati. Con molti di loro siamo diventati amici, ci frequentiamo anche fuori dai poligoni. Impensabile 20 anni fa». D’altronde lo scenario sociopolitico è cambiato e nella Cava di Crni Kal ci si preoccupa più della pressione migratoria che di “sottigliezze” localistiche. Con critico rammarico verso un’Unione europea che sembra incapace di garantire un’”identità continentale” composta di tante “declinazioni” nazionali che vogliono restare tali pur nell’ambito dei valori comunitari.
«Paradossalmente - continua Cante - per noi italiani il problema è la lingua: qui si parla in italiano o inglese, poiché non sappiamo le lingue dei nostri vicini e ora, paradossalmente e all’opposto di decenni fa, ce ne vergognamo un po’». «Ma sulla linea di tiro - spiega il tenente Mario Fresa, presidente di Unuci Cervignano - ci capiamo tutti. Qui i Rambo sono banditi, si autoisolano perché per loro non c’è terreno. Il tiro è una disciplina che abitua alla calma e alla riflessione»
Anche sui tempi moderni, così diversi da quelli della gioventù di tanti tiratori. Tempi probabilmente indigesti ma con i quali bisogna fare i conti: qui a Nordest insieme italiani, sloveni e croati, che un’eguale formazione e disciplina hanno contribuito ad avvicinare genuinamente. L’”altro” oggi è davvero diverso e le nostre diversità, a confronto, paiono veramente sfumature poco degne di nota.
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