L’altolà di Sarajevo alla Croazia sui rifiuti radioattivi di Krško
BELGRADO Quel deposito di rifiuti radioattivi non s’ha da fare. E se la Croazia andrà avanti, sorda alle paure della Bosnia, allora Sarajevo e Banja Luka uniranno le proprie forze – uno scenario relativamente inedito, in un Paese che rimane scisso – per opporsi. Anche cercando di portare il problema all’attenzione internazionale.
Il problema riguarda la quota croata delle scorie nucleari a media o bassa radioattività della centrale nucleare di Krško, in Slovenia, struttura di proprietà mista tra Lubiana e Zagabria. Ed è un problema che sta diventando sempre più sensibile: lo conferma la forte presa di posizione assunta l’altra sera dalla presidenza tripartita bosniaca, che ha emesso una dichiarazione con i toni del diktat per chiedere «alla Croazia di non designare Trgovska Gora, nella municipalità di Dvor», località a un tiro di schioppo dal confine bosniaco, come «deposito di rifiuti radioattivi e nucleari; e di trovare sul proprio territorio» una diversa ubicazione adatta per questi fini. Un’ubicazione che non deve essere - è stato l’ammonimento - «prossima al confine con la Bosnia», come si legge nel messaggio firmato dai tre membri della presidenza, il serbo-bosniaco Milorad Dodik, il bosgnacco Sefik Dzaferović e il croato Zeljko Komsić.
Di che cosa si parla? Di un progetto che sta tornando a provocare tensione e che era già stato proposto negli anni scorsi, accompagnato da una scia di critiche e polemiche e dalla levata di scudi di ambientalisti ed ecologisti: un deposito di una parte delle scorie di Krško, quelle di pertinenza della Croazia – che Zagabria deve prendersi in carico entro il 2023 - in un’area in Croazia vicinissima alla Bosnia. La paura, sul fronte bosniaco del confine, è che il deposito «inquini l’ambiente su entrambi i versanti della frontiera e danneggi la salute dei residenti», ha ricordato l’agenzia Hina. Il problema è che un futuro deposito a Trgovska Gora, in un’area poco abitata ma solo su territorio croato, sarebbe a meno di 800 metri dal fiume Una, a 600 metri dalle fonti d’acqua che riforniscono Novi Grad, hanno ricordato anche i deputati bosniaci Sasa Magazinović e Jasmin Emrić. Dalla Croazia «ci arrivano rassicurazioni» che un eventuale deposito «non avrà ripercussioni negative. Ma se è così, consigliamo che scelgano tra Zagabria, Spalato o Dubrovnik», ha rincarato Magazinović.
Ma Zagabria ha deciso ormai per Trgovska Gora? Non ci sono ancora conferme ufficiali al 100 per cento, ma la reazione bosniaca fa pensare che tutto vada in questa direzione. Dodik ha promesso che contatterà i massimi vertici croati, il premier Andrej Plenković e la presidente della Repubblica Kolinda Grabar Kitarović, per comunicare formalmente la richiesta della Bosnia dicendosi sicuro che le pressioni faranno cambiare idea a Zagabria.
Nel frattempo, il ministero degli Esteri di Sarajevo è stato incaricato di diffondere a livello Ue le preoccupazioni bosniache. Il nervosismo è già salito a livelli di guardia. Nei giorni scorsi il ministro dell’Ambiente serbo-bosniaco, Srebrenka Golić, si è appellato direttamente a Zagabria affinché faccia chiarezza, ma ha poi minacciato: «Anche noi abbiamo rifiuti radioattivi» a bassa intensità. E potremmo «piazzarli sopra Dubrovnik, una misura di reciprocità», ha aggiunto. «Ci aspettiamo che le istituzioni bosniache difendano i propri cittadini», ha fatto eco il numero uno della municipalità Novi Grad/Bosanski Novi, Miroslav Drljaca.
Ma non c’è solo la Bosnia sulle barricate, per dei rifiuti che nessuno sembra volere. Anche la comunità locale di Krsko, secondo quanto ha riportato di recente l’agenzia slovena Sta, è entrata nel dibattito. E si è detta contraria all’ipotesi di stoccare tutte le scorie dell’impianto, «più i rifiuti prodotti da altre strutture in Croazia», nel deposito sloveno di Vrbina, oggi in via di costruzione. —
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