L’altolà della Bosnia a Zagabria: no ai rifiuti radioattivi da Krško
BELGRADO Nuove preoccupazioni causate dai disastrosi effetti del sisma di Petrinja si aggiungono a vecchi e mai sopiti timori sulla sicurezza del sito. E rischiano di provocare una crisi esplosiva tra Croazia e Bosnia. Le apprensioni sono quelle che riguardano il sito di Trgovska Gora, un’area in Croazia vicina alla cittadina di Dvor, a un tiro di schioppo dal confine con la Bosnia e dalla città bosniaca di Novi Grad. Il sito è stato individuato da Zagabria come possibile luogo dove stoccare la quota croata dei rifiuti radioattivi a media e bassa intensità prodotti dalla centrale nucleare di Krško. Krsko, ricordiamo, è infatti controllata in parti uguali da Croazia e Slovenia. I due Paesi non hanno trovato un accordo per un deposito comune. Da qui la scelta di Lubiana,che ha optato per una struttura a Vrbina, da realizzare a ridosso della centrale. Mentre Zagabria ha scelto di edificare una struttura “in proprio” entro il 2024, con alta probabilità appunto a Trgovska Gora, zona relativamente isolata e distante da grandi centri urbani.
Il controverso deposito di scorie, che potrebbe sorgere in un’area militare dismessa, già negli anni passati aveva creato profondi attriti tra Zagabria e Sarajevo suscitando anche proteste di piazza. Ma negli ultimi giorni la tensione è risalita alle stelle, in Bosnia. Tutta colpa del forte terremoto che ha colpito la Croazia centrale, e il cui epicentro in linea d’aria dista solo una quarantina di chilometri dalla Trgovska Gora. È razionale immaginare un deposito di scorie radioattive in una regione a rischio terremoto? È questa la riserva espressa da moltissime persone, in particolare attivisti ed ecologisti in Bosnia ma anche in Croazia, e da politici di punta a Banja Luka e Sarajevo. Il sisma «ha confermato che in quella località non si può costruire alcun deposito» ad alto rischio, «perché potrebbe avere ricadute dirette sull’ambiente e su tutte le persone che vi vivono», ha attaccato il ministro bosniaco del Commercio estero, Staša Kosarac, fra i critici più agguerriti del progetto. Sulla stessa linea anche il politico bosniaco Sasa Magazinović, presidente del Zeleni Klub, che in questi giorni ha riportato il caso al Parlamento di Sarajevo. Bisogna «impedire l’arrivo di rifiuti radioattivi e nucleari nel nostro cortile» di casa, ha rincarato. Se un terremoto avesse colpito un deposito già in funzione, ci sarebbero state «conseguenze significative sull’ambiente», ha ammonito anche la sismologa Snježana Cvijić-Amulić. «Immaginate un camion pieno di rifiuti radioattivi che transita» non lontano da Petrinja «al momento del sisma», ha affermato anche il professore bosniaco Munir Jahic, citato dai media locali. Trgovska Gora non s’ha da fare, ha confermato infine la ministra serbo-bosniaca della Pianificazione spaziale, Srebrenka Golic.
E se la Croazia non ascoltasse i timori della Bosnia? Allora l’unica via è premere sull’acceleratore per richiedere «un arbitrato internazionale», ha rilanciato un altro politico bosniaco, Jasmin Emric. Quest’ultima ipotesi sarebbe già sul tavolo del Consiglio dei ministri, a Sarajevo. Scelta realistica, anche perché la Croazia non sembra essere stata smossa dalle critiche bosniache. Le strutture esistenti nell’area del possibile futuro deposito «non sono state danneggiate» dal sisma e «l’accelerazione» del terreno provocata dal terremoto «è stata inferiore a quella registrata a Zagabria», ha assicurato il Fondo croato per lo smaltimento dei rifiuti radioattivi, incaricato di valutare se il sito è adatto.
Ma al via libera manca ancora molto. «Se le indagini» idrogeologiche, geomorfologiche, ecologiche e sismologiche diranno che «il progetto non ha un impatto negativo sull’ambiente», solo allora sarà lanciata «la procedura per ottenere i permessi di costruzione», ha precisato l’agenzia di stampa croata Hina. Sempre che la Bosnia non dissotterri prima l’ascia di guerra e si opponga, una volta per tutte, a Trgovska Gora. —
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