L'allarme in Serbia: «Noi medici mandati allo sbaraglio: Troppe le vittime»
Il dolore per non avere avuto la possibilità di offrire una «assistenza sanitaria» adeguata a tutti i ricoverati a causa del Covid. La certezza di avere davanti agli occhi «per il resto della vita le scene di pazienti terrorizzati, che annaspano alla ricerca d’aria». Ma anche la memoria dei tanti, troppi colleghi che sono deceduti a causa del virus - un numero pari a quasi tre volte più che in Italia - per colpa anche delle autorità al potere.
A raccontare a Il Piccolo i sentimenti che lo animano è Rade Panic, figura molto in vista in Serbia, medico anestesiologo nonché presidente del Sindikat lekara i farmaceuta Srbije (Slfs), uno dei maggiori sindacati indipendenti dei medici del Paese balcanico. Panic e Slfs hanno destato più volte scalpore, a Belgrado, portando ad esempio in piazza i camici bianchi in segno di protesta contro il governo. Di recente sono scesi in piazza a centinaia proprio per ricordare i colleghi deceduti. E hanno sostenuto che la Serbia avrebbe registrato un numero molto alto di vittime per il virus proprio tra i medici. Tutte accuse sempre nettamente respinte dalle autorità. Secondo i dati forniti dallo stesso Slfs, che parla di cifre «verificate», si tratterebbe - nelle parole di Panic - di «109 medici, dentisti, farmacisti» deceduti, «mentre non abbiamo dati precisi su infermieri e tecnici, ma dal loro sindacato le ultime informazioni ne contano 34, cifre in difetto. Sulle altre figure sanitarie i dati sono molto scarsi, ma conosco direttamente diversi casi», dice il medico.
I confronti, secondo queste cifre, sono impietosi. L’Italia, con una popolazione otto volte superiore, ha infatti registrato 328 decessi tra i medici da inizio epidemia. E «in Croazia si parla di 22 vittime, negli altri Paesi penso meno di una decina», sottolinea l’anestesiologo. Ma quale è il motivo di una così alta mortalità, in Serbia? «Si tratta del risultato di azioni e inazione delle autorità durante l’epidemia, un evento che mette alla prova una società nel suo complesso», spiega. All’inizio, tra i tanti problemi, «non c’erano abbastanza dispositivi di protezione, direttori e capi ci impedivano di usare quelli che ci eravamo procurati da soli. Per mesi il protocollo ufficiale per l’ammissione di pazienti non-Covid era il test sierologico, ma sappiamo che da esso non può essere individuata la positività nei primi 5-7 giorni dell’infezione, quando i pazienti sono più contagiosi», ricorda Panic. «C’erano poi molti operatori infetti nelle “zone verdi”. Il problema più grande sta però nella carenza di operatori nel sistema sanitario», già all’inizio della pandemia «il 12-15% in meno rispetto alle necessità. E non c’era una adeguata rotazione di chi era impiegato nelle “zone rosse”», aggiunge.
La colpa di tutto? Attribuibile a chi è al potere. Secondo Panic il ministero, soprattutto nel primo periodo di pandemia, non avrebbe fornito «equipaggiamento protettivo» e sarebbe stato carente nel «promuovere l’effettuazione di test e nel reclutare personale». Di qui l’annuncio: «Stiamo preparando – dice Panic - una denuncia contro ministero, Istituto di salute pubblica e la Commissione governativa per le malattie infettive».
Del resto la situazione durante le prime ondate del 2020 è stata «molto brutta. Le unità Covid non erano organizzate professionalmente, si incrociavano percorsi per infetti e non. Mancava personale adeguatamente formato per le nuove difficilissime condizioni», con poche isole felici, sottolinea l’esponente sindacale.
Il quadro oggi è migliore, ma resta ancora molto da fare. Oltre ad assunzioni in quantità massicce, andrebbe sciolta secondo Panic «l’unità di crisi, specificatamente politica. In una parola, i politici dovrebbero ritirarsi dal processo decisionale e preoccuparsi solo dell'attuazione di ciò che la scienza ritiene necessario e congruo».
Ma c’è anche un’altra faccia della medaglia, ed è estremamente positiva: quella di una Serbia fra i primi Paesi in Europa e al mondo per vaccinazioni. Anche qui ci sarebbero delle ombre, sostiene Panic. «Il numero di dosi ottenute è sicuramente da lodare. Il piano di vaccinazione è buono. Il problema – chiosa - è l'attuazione di questo piano, la non trasparenza del processo di approvvigionamento, l'ottenimento dei permessi per i vaccini, la documentazione dei vaccinati e il monitoraggio degli effetti collaterali. Non abbiamo ancora la documentazione completa per il vaccino cinese, che è stato somministrato al maggior numero di cittadini. Non disponiamo di dati sul completamento della terza fase di test di questo vaccino. E il primo contingente - conclude Panic - è arrivato in Serbia due giorni prima che l’Agenzia serba del farmaco rilasciasse la licenza d'uso». —
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