L’allarme del mondo della salute mentale sulla riforma sanitaria: "Modello sotto minaccia"
TRIESTE Bozze fantasma, voci, ma anche «fatti concreti» che sembrano preludere «allo smantellamento di un modello». Le associazioni dei familiari sofferenti psichici di Trieste e dell’Isontino trasmettono via lettera la preoccupazione per il futuro del sistema della salute mentale cittadino e della regione, che riceve apprezzamenti nazionali e internazionali ma, «paradossalmente» sostengono, viene guardato con una certa freddezza dal governo del Friuli Venezia Giulia.
La denuncia unisce anche gli operatori del settore, esponenti di primo piano della psichiatria, eredi di Franco Basaglia. Peppe Dell’Acqua, braccio destro del riformatore della disciplina in Italia, cita quello storico punto di riferimento: «Sembra quasi che gli amministratori in carica la vogliano finire con lui». La premessa è una giunta che sta costruendo, dopo il riassetto della governance, la seconda parte della riforma sanitaria. In assenza di informazioni certe, i timori sono stati alimentati da una bozza, peraltro smentita dall’assessorato regionale, ma più in generale dalla sensazione di scarsa attenzione verso operatori e famiglie. «Siamo molto preoccupati – è l’incipit della lettera partita da Trieste –. A fronte di apprezzabili, ripetute dichiarazioni dell’assessore Riccardi circa la volontà di potenziare i servizi sanitari di territorio, i lunghi tempi dell’incertezza sugli assetti organizzativi e normativi si stanno accompagnando a un forte indebolimento dei servizi triestini». Ci si interroga su che ne sarà dei distretti sanitari: «Il rincorrersi di voci sulla loro riduzione, le mancate procedure concorsuali, il pensionamento di vari dirigenti generano un clima di insicurezza».
Analogamente, le ipotesi di depotenziamento dei Dipartimenti di salute mentale e delle dipendenze fanno temere la crisi «di una organizzazione dei servizi radicalmente sostitutiva dell’ospedale psichiatrico e molto faticosamente costruita negli anni. L’assenza di turnover nei vari livelli crea grave preoccupazione sulla tenuta del sistema con evidenti rischi per l’utenza e per la generale sicurezza sociale».
Al Servizio psichiatrico di diagnosi e cura di Trieste, struttura che serve anche Gorizia e Monfalcone, non si procede alla nomina del primario nonostante, da un anno, si sia già svolto il concorso. Mentre oggi va in quiescenza il direttore del Dipartimento di salute mentale, anche primario del Csm di Barcola, Roberto Mezzina, barese, pure lui nel gruppo di lavoro di Basaglia, 41 anni filati nella sanità triestina. In extremis, fa sapere Dell’Acqua, si è proceduto a incaricare al suo posto Elisabetta Pascolo, già direttrice della clinica psichiatrica universitaria. Ma restano «mancate coperture e ritardi» in un settore strategico della sanità che solo a Trieste, nei quattro Centri di salute mentale, ha in carico più di 5 mila utenti all’anno con disturbi severi (circa 20 mila in regione), con 200 operatori, ricordano le associazioni, che si occupano di definire progetti di cura personalizzati, dal sostegno alla vita quotidiana all’abitare assistito fino all’inserimento lavorativo. Un movimento, quello delle famiglie, «che difende il modello attuale – dice ancora Dell’Acqua – e che per questo, a inizio legislatura, è andato a Palazzo chiedendo alla politica di non mettere le mani su quello che funziona». «Sono gli utenti, legittimamente preoccupati, che ci tirano la giacca chiedendoci di essere tranquillizzati», aggiunge Mezzina. Il primario triestino, oggi al lavoro per l’ultimo giorno, cita quindi il piano regionale approvato dalla Regione nel febbraio 2018, «il più brillante che io abbia mai visto in Italia nei miei quarant’anni di carriera, un documento che conferma l’autonomia dei Dipartimenti e i Csm sulle 24 ore come cifra identitaria», ma poi afferma: «Questo piano si è sostanzialmente fermato e non ci sono certezze su ciò che verrà».
Si arriverà davvero allo stravolgimento dell’esistente? Franco Rotelli, ispiratore della normativa sanitaria Fvg in era Serracchiani, può solo auspicare che non accada: «Credo ci possa essere sufficiente intelligenza politica per capire che la riforma basagliana è un patrimonio non più di qualcuno, ma di tutta Trieste. Sarebbe quindi il caso di valorizzarla, anche perché ce n’è bisogno nel Paese». La posizione della Regione? «Comprensibile una certa freddezza, non ci scandalizziamo. Spero si proceda però ad andare avanti, non indietro». —
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