L’addio al Burlo dei medici “di punta”
Ripongono il camice nell’armadietto, guadagnano l’uscita e tanti saluti. Il declino del Burlo si deve anche alla fuga dei medici. Delusi di non aver trovato l’humus necessario per sviluppare il proprio potenziale, cercano fortuna e soddisfazioni altrove. Negli ultimi anni l’ospedale ha perso pezzi da novanta che avevano portato alto il nome della sanità triestina e regionale. Nomi noti nel panorama nazionale e internazionale, che la dirigenza si è lasciata scappare. Ma anche nomi meno conosciuti ai più, altrettanto validi, che si sono fatti da parte senza fare troppo rumore prendendo al volo l’opportunità del pensionamento.
La questione non è soltanto affare degli addetti ai lavori, ma è sulla bocca di tutti in via dell’Istria. Persino dei genitori che aspettano il turno in fila per far visitare i figli. Attendono e commentano, osservando ammirati la galleria fotografia del pianterreno. Immagini in bianco e nero che ripercorrono il passato dell’ospedale. Gli anni Cinquanta e Settanta, le infermiere sorridenti con la cuffietta nei capelli, le vecchie sale operatorie, le allieve a lezione del professor Panizon, il vescovo Santin che inaugura un reparto. Guardano e scuotono la testa: «Il nostro ospedale... Adesso se ne stanno andando i più bravi» riflette un papà. Molti altri stimati rimangono, magari stringendo i denti. E tra i denti si abbandonano in qualche considerazione. «Quando una cosa funziona la distruggono, perché si teme di perdere potere», mormora un dottore ben informato che lavora al Burlo. Domanda l’anonimato perché qualsiasi considerazione lo porterebbe al licenziamento. Non è chiaro se è quella la logica che ha spinto alcuni medici a prendere la porta, ma le divergenze tra direzione e camici bianchi sono note. Tornano a galla incrociando testimonianze e racconti: accorpamenti non condivisi, opportunità di crescita mai avviate, scarsa volontà di valorizzare le qualità.
La fuga è iniziata già sotto Mauro Delendi, dg dell’Irccs dal 2007 al 2010 con Giampaolo Canciani direttore sanitario. Ed è proseguita con l’attuale direzione in mano a Mauro Melato, ora a fine mandato, e Dino Faraguna direttore sanitario fino a giugno dell’anno scorso. Una decina i casi di addio negli ultimi anni, in mezzo a dissapori per chiusure e fusioni, accuse di mobbing e di altro tipo finite in tribunale. Il commiato più eclatante, di cui riferiamo qui sotto, è quello di Francesco Fanfani. Il secondo riguarda Gloria Pelizzo, apprezzato chirurgo pediatra, ora primario a Pavia e componente del Consiglio superiore di Sanità. Via dell’Istria ha perso pure Marina Busetti, responsabile di Microbiologia, passata a Cattinara come si evince dalle delibere ospedaliere.
Molti ricordano il dottor Jurgen Schleef, uno dei medici di punta del Burlo. Ex direttore di dipartimento di Chirurgia, è a Torino dal 2013 a capo di una struttura complessa di rilievo internazionale e coordina 18 colleghi. Se n’è andato perché attratto dalle immense opportunità di azione fuori Trieste. «Ho avuto un’ottima offerta in una realtà importante», spiega Schleef. «Che al Burlo, tra cambiamenti e decisioni, ci fossero difficoltà è innegabile. L’Irccs viene trattato come un qualsiasi ospedale della regione, per motivi di equilibrio con Udine e Pordenone.
Ma io mi domando – incalza il dottore tedesco – un territorio con un milione e 200 mila abitanti deve avere un’oncologia e una pediatria tanto a Trieste quanto a Udine? A livello europeo queste come altre specialistiche vengono tarate su una popolazione di 2 milioni. Da voi invece tutto è frazionato e l’Irccs non è riconosciuto come un’eccellenza. Tenete più strutture, che poi zoppicano perché non ci sono abbastanza risorse. Il Burlo è trattato come un ospedale provinciale».
Ad abbandonare via dell’Istria in modo piuttosto critico, nell’ottobre 2012, anche Secondo Guaschino, ex direttore di Ostetricia e Ginecologia. È a Firenze con l’incarico di primario, ma potrebbe rientrare: «A Trieste sono affezionato ma sono dibattuto se tornare».
Nelle corsie si cita l’otorino Giorgio Pelos. Lavora privatamente dal 2012, ma non figurerebbe nella rosa dei medici che hanno sbattuto la porta: «Ho scelto di cambiare per motivi professionali, per continuare da solo. Che negli ultimi anni ci sia stato un cambiamento di clima non si può negare. Molto è mutato dagli anni ’90, c’era entusiasmo. Il Burlo era un posto pulsante, ero orgoglioso di far parte di quella famiglia. Molti cervelli se ne sono andati e tanti sono ora in pensione. Ciò ha comportato un depauperamento. Comunque la mia è stata una scelta personale, non sono stato ostacolato. Con l’ospedale collaboro, ci mando i miei pazienti che vengono trattati nel miglior modo possibile».
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