L’acqua sorpassa il vino nella spesa degli italiani

Lo rivela Coldiretti a Vinitaly. Nel mirino finisce la stretta sul codice della strada E Fedagri accusa le banche: il costo del denaro è doppio per le imprese agricole
Di Stefano Bizzi
A woman pours a glass of Lambrusco red sparkling wine on the opening day of the 44th edition of the annual International Wine and Spirits Exhibition "Vinitaly", in Verona, northern Italy, Thursday, April 8, 2010. The wine exhibition runs until April 12, in the city made famous by the tale of Romeo and Juliet. (AP Photo/Luca Bruno)
A woman pours a glass of Lambrusco red sparkling wine on the opening day of the 44th edition of the annual International Wine and Spirits Exhibition "Vinitaly", in Verona, northern Italy, Thursday, April 8, 2010. The wine exhibition runs until April 12, in the city made famous by the tale of Romeo and Juliet. (AP Photo/Luca Bruno)

VERONA. Al settore agricolo il denaro costa il doppio rispetto a quanto costa all’industria. L’allarme viene da Fedagri-Confcooperative che, ieri al Vinitaly di Verona, ha sottolineato come il settore agricolo ed agroalimentare italiano rappresenti per il settore creditizio un universo da 75 miliardi di euro impiegati, pari al 7,5% degli impieghi nazionali e oltre il 31% degli impieghi erogati al solo settore manifatturiero.

I dati sono stati diffusi dal presidente del settore vitivinicolo di Fedagri-Confcooperative, Adriano Orsi, nel corso della tavola rotonda “Diamo credito al vino italiano”. Nell’analisi è stato evidenziato come, a parità di importi e durata di prestiti richiesti, un’azienda agricola deve sostenere quasi il doppio del costo del denaro. Secondo l’elaborazione di Fedagri Confcooperative su dati Banca d’Italia al 30 settembre 2011, il Taeg medio ponderato (l’indicatore del costo complessivo del credito a carico dell’utente comprendente tutti gli oneri) è del 4,51% nell’agricoltura contro il 2,39% nel manifatturiero (3,29% negli alimentari). Nella geografia dei finanziamenti, a livello nazionale, guida la locomotiva del Nordest, con 25,9 miliardi di euro, seguita dal Nordovest (20,4 miliardi) e dal Centro (12,8 miliardi). «Ma fra cooperative grandi e piccole – puntualizza Orsi – la differenza di costo del denaro è del 3,8%».

Se è vero che il mondo del vino in Italia fattura 10 miliardi di euro e ne esporta quasi il 50%, è anche vero che nel 2011 c’è stato un calo nei consumi nazionali e che il mercato dell’acqua in bottiglia ha superato quello del vino. Ogni famiglia ha speso in media 19 euro al mese per l’acquisto dell’acqua minerale contro i 18 euro per il vino. Il motivo? Il forte calo, risponde Coldiretti, si deve sia ad una maggior attenzione alla qualità che soprattutto alle campagne antialcol e alla stretta sulle norme del codice della strada che hanno cambiato, e molto, le abitudini alimentari, soprattutto al ristorante. Non solo: il vino italiano, aggiunge ancora Coldiretti, si è bevuto più all’estero che in Italia. Sono stati cioè esportati 24 milioni di ettolitri a fronte di una produzione nazionale stimata di poco superiore a 40 milioni di ettolitri, la più contenuta degli ultimi 60 anni. Il risultato è che sono aumentate del 42 per cento le importazioni che nel 2011 hanno raggiunto un quantitativo record di 2,45 milioni di ettolitri, il massimo storico. «Più della metà del vino importato in Italia – spiega la Coldiretti - viene dalla Spagna».

Reggono invece le bollicine. I produttori di spumanti confermano risultati migliori rispetto alle altre aziende vitivinicole, sia in termini di rendimento del capitale (Roi 6,3% contro 5,2%) sia di struttura patrimoniale (debiti finanziari al 39,1% del capitale investito contro il 46,2% degli altri produttori). Ad affermarlo è un’indagine di Ricerche & Studi di Mediobanca condotto sui bilanci dei 107 “big” italiani del vino. Secondo lo studio, i margini industriali rispetto al fatturato sono identici (Mol su ricavi al 5,6%): i produttori di spumanti sono premiati dal superiore tasso di rotazione del capitale investito (109,4% contro l’88,9%) derivante dalla loro struttura più leggera.

Le immobilizzazioni tecniche sono infatti pari al 35% del capitale contro il 50% delle grandi marche di vino fermo. Coerentemente i produttori di spumanti fanno un minor ricorso al debito, segnando un rapporto “debt-equity” inferiore di 7,1 punti rispetto agli altri produttori (39,1% contro 46,2%). Mostrano però una minore proiezione internazionale, con una quota all’export del 36,8% contro il 49,4%, ma anche condizioni di migliore competitività, segnalate da un valore aggiunto più che doppio rispetto al costo del lavoro.

Il valore aggiunto dei produttori di spumanti è infatti pari a 104mila euro, il 30 per cento al di sopra di quello degli altri produttori (80mila euro), a fronte di un costo del lavoro (50mila euro) superiore del 19%.

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