Lacosegliaz canta l’arte della guerra
MONFALCONE. La guerra è una cosa troppo seria per lasciarla in mano ai militari, scriveva Georges Clemenceau, l’artefice del Trattato di Versailles. Meglio lasciare che se ne impossessino gli artisti e la trattino come sanno fare loro. Per allontanare - adesso che più frequenti si fanno le celebrazioni – tutte le bandiere della retorica. E svelare il lato cinico, mostruoso, perfino surreale, del meccanismo che le guerre le inventa e le fa. Ma con la vita degli altri. Ci ha pensato l’ingegno fervido e sensibile di Alfredo Lacosegliaz, musicista ma non solo, a comporre un progetto che in occasione del centenario ’14-’18 sfida il rituale delle commemorazioni e mette insieme documenti visivi e sonori per costruire un carillon bellico di impressionante e mortifera bellezza. Una lanterna magica dove cartoline d’epoca, marce e inni nazionali, fotografie, canzoni di trincea, bollettini e dispacci, preghiere, lettere scritte al chiarore delle granate, si animano in un ingranaggio di lampi ed esplosioni di suono, che stritolano e al tempo stesso vivificano la nostra coscienza. “L’insostenibile arte della guerra” è il titolo dell’installazione “semi-tragica” che comincia a funzionare domani mattina all’Auditorium Comunale di Ronchi dei Legionari. E si prolunga, neanche a farlo apposta, da mercoledì 14 a domenica 18, per essere poi disponibile in altre situazioni o Paesi fino al 2018. Così, per non tradire i numeri. «Una performance multivideo per l’elaborazione del ricordo», spiega ancora Lacosegliaz, che è rimasto impressionato dalla quantità e qualità delle testimonianze con cui collezionisti seri o maniaci oltranzisti affollano Internet. «Dagli elmi bucati alle divise ancora sporche, per non parlare del macabro divertimento delle cartoline di propaganda. Un trovarobato che abbonda in Rete. E inoltre le marce, gli inni nazionali, l’eco delle canzoni suonate su una chitarra fatta con una cassetta di legno e due corde, nelle inesorabili attese della trincea».
Perché la guerra non è solo gesto eroico, o dolente sconfitta.
«Raccontano che il rancio delle truppe prevedesse l’aggiunta strategica di 10 litri di grappa ogni 50 soldati. In trincea si cantava. La canzoni di guerra non dovrebbero essere riesumate solo in occasione degli anniversari. La guerra esiste sempre».
Il musicista lascia la mano libera a un costruttore di paesaggi sonori?
«Il teatro ha sempre accompagnato il mio lavoro musicale. Qui si è trattato di animare, grazie alla videocomposizione, immagini statiche ma con un ritmo della visione che, in sé, è musica».
Esiste qualcosa di personale che leghi Lacosegliaz alla Grande Guerra?
«Una memoria mancata. Una delle sezioni di questa installazione si apre con la dedica a uno dei miei nonni, Matteo, caduto in Galizia prima che suo figlio (cioè mio padre) e suo nipote (io) potessero conoscerlo. È il segno della mia partecipazione».
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