La violenza in rete che intimorisce, aumenta la paura delle fake news

TRIESTE. Parole ostili. Parole di bullismo, denigrazione, diffamazione. Parole che costruiscono falsità e percezioni distorte. Anche questo ha portato la grande rivoluzione della Rete. E il problema, dagli utenti del web, è sempre più sentito. Alla vigilia del terzo evento di Parole O_stili che domani vedrà a Trieste numerosi esperti confrontarsi su questi temi, un elemento forte arriva dalla ricerca “Odio e falsità in rete.
La percezione dei cittadini a distanza di due anni” che Swg ha elaborato per l’associazione nata nel 2016 a Trieste con l’obiettivo di sensibilizzare sulla necessità di contrastare i linguaggi di odio in rete.
Il confronto con l’indagine elaborata nel 2017 è netto: la consapevolezza del rischio di incappare in fake news, ma anche di restare invischiati nella violenza verbale, è in crescita fra gli utenti della prateria online.
@TwLetteratura anche la Scuola Primaria E. De Morpurgo #Trieste partecipa al progetto @ParoleOstili con le insalate di fiabe dei suoi allievi! #paroleostili pic.twitter.com/gShJCASb4b
— Laura Granato (@lauragranato77) 31 maggio 2019
Una spiegazione, commenta ancora il ricercatore, può essere quella secondo cui gli utenti di età più avanzata «usano i social ma tendono a informarsi ancora molto via tv e mezzi tradizionali, e si sentono dunque meno vulnerabili». Detto che l’allarme fake news - secondo la rilevazione di Swg - risulta più marcato nelle fasce di maggiore reddito e istruzione fra gli interpellati, in crescita risulta comunque anche la percezione del rischio di subire episodi di violenza verbale, così come quella secondo cui le opinioni si stiano estremizzando. Il web come terreno ostile per un confronto costruttivo: terreno minato fra l’altro da un decadimento del linguaggio su cui pure l’attenzione sta salendo.
Un altro dato che emerge dall’indagine Swg - che ha visto interpellare un campione di 1200 persone fra il 23 e il 25 maggio, giusto a ridosso delle elezioni europee - è quello relativo ai “bersagli” dell’hate speech. Anche qui, sottolinea Vidotto Fonda, si notano variazioni rilevanti. Se due anni fa era alta la percezione di violenza verbale contro i migranti, quel 20% del 2017 è sceso oggi drasticamente di 12 punti fino a un 8%, così come è scesa - dell’8% in entrambi i casi - la percezione che riguarda donne e politici come bersagli. Categorie “classiche” in questo frangente che sbiadiscono come bersagli percepiti, mentre sale del 3% la percezione che vittime degli hate speech in rete siano le forze dell’ordine; invariate restano le percentuali per omossessuali, personaggi dello spettacolo, disabili.
In questo contesto, c’è un altro dato che evidenzia la portata del problema costituito dalla violenza verbale. Il 68% degli interpellati ritiene che l’hate speech non sia un fenomeno temporaneo bensì «una nuova realtà della comunicazione». E però all’interno di questa percentuale - fa sapere Vidotto Fonda - se un 32% di interpellati che si riferisce alla comunicazione online, c’è un 36% che addita la comunicazione nel suo complesso, e dunque anche al di fuori della rete. «Virtuale è reale» insomma, come recita il primo punto del Manifesto della comunicazione non ostile nato a Trieste. —
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