La violentò e lei si buttò dal terzo piano, adolescente rivela gli abusi del padre

L’uomo è indagato dalla Procura di Gorizia. Gli episodi risalgono a quando la figlia aveva 8-9 anni e poi un altro nel 2018
Bumbaca Gorizia 13_02_2020 Tribunale interni © Foto Pierluigi Bumbaca
Bumbaca Gorizia 13_02_2020 Tribunale interni © Foto Pierluigi Bumbaca

MONFALCONE. Ci sono voluti diversi anni prima che la bambina, ormai adolescente, lo rivelasse esplicitamente: aveva subito violenza sessuale da parte del padre. Nei confronti dell’uomo la Procura di Gorizia ha aperto un procedimento. L’angoscioso racconto della ragazza, che ora di anni ne ha sedici, rientra nell’ambito dell’incidente probatorio.

Nel corso delle indagini è emerso che si tratterebbe di episodi collocati tra gli otto e i nove anni, oltre ad un evento specifico nel 2018, tra i quindici e i sedici anni. La violenza sessuale è stata accertata sotto il profilo della verifica medica.

L’inquietante vicenda è avvenuta nel territorio del Monfalconese. A fornirne gli elementi è stato l’avvocato Federico Cechet, che rappresenta la giovane e la madre.

Una situazione oltremodo delicata e complessa, inserita in un contesto di separazione tra i genitori della bambina, culminato nel divorzio, con affidamento condiviso e residenza presso la madre.

Gli episodi contestati, come ha riferito il legale, si sono verificati a partire dall’allontanamento volontario da parte dell’uomo dal nucleo famigliare, e quindi anche durante i periodi stabiliti dal Tribunale, ai fini di un continuativo ed equilibrato rapporto bigenitoriale.

I segnali e le manifestazioni di disagio, anche piuttosto evidenti nella loro portata, si sono fatti largo in modo sempre più marcato, a seguito degli incontri con il padre. Aveva otto anni quando la madre aveva notato che la figlia si impuntava, non voleva “andare con papà”.

Una reazione via via costante, ripetuta ogni volta che doveva incontrarlo. Era arrivata anche a chiamare la mamma per chiederle di riportarla a casa.

Il tempo passava, ma non lo stato d’animo “refrattario” della piccola, che nel frattempo aveva anche manifestato eventi di tachicardia, non appena si trattava di consegnarla al genitore.

Un comportamento progressivamente drastico ed il continuo, quasi meccanico, “protestare” il suo “no”, ma senza spiegarne il motivo. I pianti, la tachicardia, la mancanza di respiro anche solo a parlare del padre, fino a veri e propri blocchi.

Le parole pronunciate dalla bambina, prima generiche e per questo ermetiche, con i graduali, difficoltosi ed evidentemente delicati tentativi di approfondire, avevano consegnato scenari di maltrattamenti, psicologici e fisici.

Nell’ambito del procedimento di separazione, in sede di consulenza tecnica volta a valutare le capacità genitoriali, la piccola al Ctu aveva spiegato che aveva “paura” del padre.

A fronte della sentenza di separazione dei coniugi era quindi stato stabilito l’affidamento condiviso, il giudice aveva fissato i periodi di convivenza che spettavano all’uomo.

Era iniziato un percorso di incontri protetti tra il padre e la bambina che tuttavia, ad un certo punto, aveva espresso nuovamente la volontà di non vederlo. Lei allora aveva undici anni.

Alle rivendicazioni dell’uomo circa il diritto di poterla incontrare, era seguita una riunione congiunta tra gli operatori dei servizi sociali, i genitori e la ragazzina seguita da una psichiatra, in virtù delle sue “sofferenze” psichiche. Il tutto incontrando la netta opposizione a riprendere i contatti con il padre da parte dell’undicenne che, questa volta, aveva espresso la disponibilità a spiegarne i motivi, ma al solo medico. È alla psichiatra che infatti aveva poi raccontato dei maltrattamenti fisici e psicologici subiti. E anche “altro”. S’era pertanto aperto un procedimento penale per maltrattamenti in famiglia, con il divieto all’uomo di vedere la figlia.

Nell’ambito del procedimento di divorzio, nel 2018, la ragazza aveva palesato al giudice istruttore il suo stato di forte disagio nei confronti del padre, riferendosi ad altrettanto generici maltrattamenti.

La fase adolescenziale aveva acuito la pesante condizione psicologica della ragazza, “somatizzata” nell’autolesionismo. Il tempo era maturo perché si aprisse una breccia nella sua sofferenza.

Un passo per volta, assieme alla psichiatra. Prima la rivelazione di una generica violenza sessuale subita in tempi recenti. Poi ulteriori, dolorosi dettagli, nel fare riferimento al padre, ma anche ad altri eventi sofferti in età infantile. Da qui la segnalazione in Procura.

Dopo quella rivelazione, l’autolesionismo della ragazza aveva preso il sopravvento. Un pomeriggio durante il periodo delle feste natalizie, rimasta sola a casa, la madre era al lavoro, s’era gettata dalla finestra, dal terzo piano. Era stata trasferita all’ospedale di Cattinara in fin di vita.

«È stato un miracolo che s’è salvata, allora s’era temuto il peggio - ha osservato l’avvocato Cechet -. Fortunatamente s’è completamente ripresa, senza riportare alcuna invalidità. Ma piscologicamente è ormai distrutta».

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