La vedova di Geromet rifiuta 400mila euro
MONFALCONE L’offerta nell’ambito del procedimento civile in corso è arrivata suscitando estrema incredulità: 400mila euro di risarcimento danni per la morte di Franco Geromet, il 48enne originario di Staranzano, deceduto durante un intervento di bypass aortocoronarico all’ospedale di Cattinara.
«Una proposta vergognosa», ha risposto la moglie del defunto, la monfalconese di 48 anni Luana Miani, che ha rifiutato con forza e rabbia per la sofferenza patita e che tuttora sta patendo: «Le persone non valgono nulla - ha incalzato la donna -. Sono oltre due anni che è morto mio marito e da allora la mia vita è distrutta. Ci sono le mie figlie che hanno diritto al risarcimento. Eravamo una famiglia, ora non c’è più niente».
Era il 18 agosto 2014 quando Franco Geromet, accolto in sala operatoria in Cardiochirurgia per sottoporsi a un’operazione ordinaria e programmata, morì prima d’iniziare l’intervento a cuore aperto. Il decesso era avvenuto in seguito a un edema cerebrale, un edema polmonare acuto e un’acuta ipossia secondaria. Un dramma per il quale si pone ciò che è alla base delle contestazioni, l’inversione delle cannule collegate ai tubi della macchina cuore-polmoni per la circolazione extracorporea, con l’inversione quindi dei flussi ematici arterioso e venoso. A processo, fissato per il prossimo 3 maggio, è chiamata l’equipe cui era stato affidato l’intervento: Elisabetta Rauber, primo chirurgo, Alessandro Moncada, secondo chirurgo, e l’infermiera strumentista Elena Maghet. L’ipotesi di accusa è quella di omicidio colposo dovuto a «negligenza, imprudenza e imperizia» avendo «causato o comunque non impedito il decesso» del paziente.
E pochi giorni dopo l’udienza preliminare, lo scorso febbraio, nella quale era stato disposto il rinvio a giudizio per i tre operatori sanitari, Luana Miani, costituitasi parte civile al processo, si è trovata l’offerta dell’assicurazione chiamata in causa ai fini del risarcimento dei danni.
La donna ha obiettato: «Non è neppure un’offerta. È assurdo. Mi rimetto alle future decisioni del giudice». La richiesta di risarcimento formulata attraverso il legale della vedova era stata di 7 milioni di euro, presentata nell’ambito del procedimento civile già avviato. Il tutto, tenendo conto anche delle due figlie della donna delle quali, all’epoca minorenni, Franco Geromet si era assunto la cura, assicurando un equilibrio affettivo-familiare assieme alla sua consorte Luana, e come tali dunque rientranti nel diritto al risarcimento. Un’offerta irricevibile, non solo per la morte dell’uomo, sulle cui cause il processo penale farà luce, ma anche per tutti gli aspetti legati alle conseguenze della perdita del congiunto. Luana Miani l’ha voluto evidenziare con determinazione: «Avere anche solo il coraggio di propormi quella cifra è uno schiaffo alla mia intelligenza e al rispetto del mio dolore. Io e Franco eravamo molto uniti, tra noi c’erano un equilibrio e un’intesa profondi. La nostra era una condivisione completa, professionale e soprattutto di progetti di vita. Tutto mi è crollato addosso. La mia vita è stata rovinata, distrutta assieme a quella di mio marito».
La donna non si dà pace: «Rimane solo una sofferenza immensa, nella quale sono piombata quel maledetto 18 agosto nel momento in cui, non lo dimenticherò mai, quando raggiunsi l’ospedale, la sera, informata della morte di mio marito, tentarono di spiegarmi cos’era accaduto. Ora mi si dovrà spiegare, a processo, cosa è accaduto e perché».
Una proposta «irricevibile» anche quando Luana osserva: «Me lo chiedo ogni giorno, quando mi alzo e mi devo ricordare che Franco non c’è più. Perché non posso più vivere tranquilla e serena com’ero? Perché mi è stata strappata la mia stessa vita? L’ho sempre detto e l’ho ripetuto anche in udienza: nella mia vita ci sono le mie figlie, c’era mio marito e Dio».
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