LA TV CATTIVA MAESTRA

La televisione è brutta, sporca e cattiva, e forse anche peggio: è addirittura stupida. Ci avevano già avvisato dei grandi vecchi come Karl Popper e Papa Giovanni Paolo II. Per Popper la televisione è una ”cattiva maestra” e ci vorrebbe una patente per realizzarla. Il giudizio di Giovanni Paolo II fu ancora più severo: la tv, oltre ad essere una sorta di “bambinaia elettronica”, diffonde “resoconti distorti o informazioni manipolate sui problemi dell’attualità” (1994).


Adesso la condanna sulla televisione nazionale viene da Corrado Calabrò, presidente dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, che la definisce – utilizzando un linguaggio aulico, forse per attenuare la durezza del giudizio - “desipiente”, cioè, in italiano “volgare”, deficiente. Il quadro delineato, al di là della cortesia istituzionale, è per lo meno inquietante. La televisione - medium dominante in Italia - continua a essere “senza qualità”, soprattutto a causa dell’omologazione del servizio pubblico ai modelli imposti dalle emittenti commerciali. Permane la “concentrazione binomiale”, nonostante la crescita della tv a pagamento Sky, che vede l’audience del duopolio Rai-Mediaset all’82,3% e la raccolta pubblicitaria all’84,1%.


Ma non basta. In Italia la “cattiva maestra” continua a raccogliere la parte nettamente prevalente dell’ascolto, della pubblicità e quindi dei finanziamenti ai media, soprattutto a scapito della carta stampata. Non meraviglia, quindi, nell’anomalia italiana, che il presidente dell’Autorità sentenzi: “è la televisione a dettare i tempi le modalità del dibattito politico”. La stessa “par condicio”, che dovrebbe regolamentare in periodo elettorale i tempi e gli spazi dedicati alla politica, appare gravemente consumata e necessita di una revisione. Lo scenario descritto dall’Autorità per le Granarie nelle comunicazioni si concentra su tre pilastri della vita civile del Paese: informazione, giustizia e politica.


L’informazione, ormai omologata al ribasso, punta soprattutto all’audience, “con smodate intrusioni nella vita privata delle persone”. La televisione, poi, sembra volersi sostituire ai tempi troppo lenti della giustizia inscenando una sorta di “mimesi del processo” nei salotti televisivi innescando in certi magistrati la deteriore “tentazione di protagonismo”. Ma è la simbiosi tra politica e televisione a produrre le conseguenze più deteriori. La politica, con le sue “spinte e controspinte”, paralizza il servizio pubblico (Rai), incapace di svincolarsi “dall’abbraccio dei partiti”.


Ci sono rimedi a questo scenario? Se il Parlamento non interverrà a modificare il quadro attuale si dovrà aspettare il 2012, quando è previsto il passaggio (switch-off) dall’analogico al digitale terrestre, che dovrebbe moltiplicare i canali a disposizione e quindi migliorare il pluralismo dell’offerta televisiva. Affidare la soluzione di un tale intreccio d’interessi e degenerazioni solo all’evoluzione tecnologica può sembrare un eccesso di ottimismo della volontà. Eppure, se questa è la strada da seguire, l’Italia dovrà dotarsi di un sistema avanzato di cablatura in fibre ottiche che moltiplichi la potenza di trasmissione delle informazioni (nel 2011, secondo l’Autorità, servirà una capacità di banda di almeno 50 Mbps, rispetto agli attuali 3-8 Mbps). Gli investimenti richiesti sono “imponenti”, ma sono fondamentali per garantire un’effettiva modernizzazione del Paese, nelle comunicazioni, nella formazione, nella pubblica amministrazione e soprattutto a favore della competitività delle imprese.


Ecco, allora, che una regione piccola e marginale come il Friuli Venezia Giulia non può rinunciare a investire sul proprio futuro, da una parte insistendo nei progetti cablatura del territorio (di cui non si sente più parlare) dall’altro inserendosi – grazie alla propria specialità culturale e linguistica - nella digitalizzazione del sistema televisivo, come è già avvenuto in Sardegna e Val d’Aosta (che hanno ricevuto consistenti finanziamenti) e come si apprestano a fare il Lazio e la Lombardia.


Intelligenza, tecnologia e specialità multiculturale potrebbero essere un buon investimento per non rassegnarci alla progressiva “desipienza”.

Riproduzione riservata © Il Piccolo