La triestina Sara, capitano della nazionale: «Andiamo al Mondiale per dare un calcio ai pregiudizi»
Fra meno di due settimana il via a Francia 2019: per l’Italia debutto il 9 giugno contro la temibile Australia. «Ma partiamo tutte da 0 punti, ce la giocheremo»

Festa della donna, la calciatrice Sara Gama diventa una Barbie
RISCONE Ormai mancano solo meno di due settimane. Il 7 giugno scattano i Mondiali di calcio femminile con Francia-Corea del Sud, due giorni dopo, il 9 a Valenciennes, tocca all’Italia, contro l’Australia. In campo tra le azzurre, con il numero 3 e la fascia di capitano al braccio, la triestina Sara Gama, fresca campionessa d’Italia con la Juventus, squadra con la quale aveva già vinto lo scudetto anche lo scorso anno.
Sara Gama, l’Italia è in Alto Adige, a Riscone, già da qualche giorno. Come procede la preparazione?
Bene, molto bene. Ormai lavoriamo insieme da tre settimane, prima a Coverciano, ora qua a Riscone, ma devo dire che fra di noi si respira un buon clima, ci divertiamo, siamo un bel gruppo.
Un bel gruppo che si è meritato sul campo, vincendo il proprio girone, la qualificazione al terzo Mondiale della propria storia a vent’anni dalla sua ultima partecipazione...
Questa qualificazione è un traguardo ma soprattutto è un punto di partenza. Dopo essercelo conquistato non vediamo l’ora di andare in Francia, di goderci questo Mondiale. Spensierate ma concentrate, e non sembri una contraddizione.
Nel girone a Francia 2019 affronterete l’Australia, il Brasile e la Giamaica. E sembrano proprio le “Matildas” - come vengono chiamate le australiane - la squadra più forte: vi giocate quindi con il Brasile il secondo posto che vale la certezza degli ottavi di finale?
È vero che l’Australia è la formazione dal ranking migliore e che ha un ottimo organico ma è anche vero che tutte le squadre partono da zero punti. E che quindi noi ce la giocheremo con ogni avversaria. Non ci sentiamo quindi battute in partenza con nessuno.
Sarà anche il Mondiale della Var: un segnale di attenzione importante per l’intero movimento.
Le statistiche dicono che la Var aiuta le prestazioni arbitrali e quindi ben venga. E poi è vero: è un segno di rispetto nei nostri confronti che va accolto con piacere.
Un rispetto che il calcio femminile non si è ancora visto riconoscere appieno: la nazionale tedesca, una delle più forti del mondo, ha diffuso un video in vista del Mondiale nel quale contro i pregiudizi lancia lo slogan “Non abbiamo le palle ma sappiamo come usarle”.
C’è un cammino da fare, ancora molto lungo. È però vero che anche in Italia, negli ultimi due anni, il nostro movimento è cresciuto tantissimo: Sky ha registrato ottimi dati d’ascolto per le nostre partite, superiori alla Premier League o alla serie B, segno che il pubblico si sta appassionando al calcio femminile. Molto però, dicevo, c’è ancora da fare. A iniziare dal riconoscimento della possibilità anche per le donne in Italia di essere professioniste dello sport come avviene per i maschi. Non solo nel calcio, questo è un problema di tutto lo sport italiano. E poi: perché anche i riconoscimenti per i successi ottenuti sono ancora diversi, tanto diversi per le nazionali maschili e per quelle femminili? Non è sport al massimo livello in entrambi i casi? Parlo per noi calciatrici ma lo stesso avviene per le rugbiste o le pallavoliste, ad esempio.
Da anni lei si batte per il riconoscimento dei diritti delle donne anche nello sport e non a caso è consigliere della Federcalcio. Non si arrabbia a vedere che il cammino da fare per superare tutti i pregiudizi, come dice lei stessa, è però ancora lungo?
No, perché comunque il movimento sta crescendo e anche velocemente. Io andai al Paris Saint Germain cinque anni fa: ebbene, allora il calcio femminile italiano era ancora terribilmente indietro ma poi in questi ultimi cinque anni ho visto più cambiamenti che in tutto il resto della mia vita da atleta. Basti pensare all’arrivo dei club professionistici con le squadre femminili, oppure al fatto che noi della Juventus abbiamo disputato l’ultima partita, contro la Fiorentina, all’Allianz Stadium davanti a 40mila persone. Chi l’avrebbe mai detto anche solo due anni fa! È stato un momento ...catartico, emozionante. Uno di quei momenti che ti fanno comprendere a cosa sono serviti i sacrifici fatti.
L’ingresso dei club professionistici (Juventus, Fiorentina, Inter o Milan, e non solo...) non rischia di cancellare dalla geografia del calcio femminile società come il Tavagnacco, che comunque gioca in A ininterrottamente dal 2001?
Io sono convinta che, così come i club professionisti più importanti che hanno deciso di aprire le squadre femminili, anche i nostri club storici quale appunto è il Tavagnacco abbiano un ruolo fondamentale visto quanto hanno fatto per far crescere il movimento e vadano quindi aiutati. Il problema vero è e rimane l’altro, il riconoscimento del professionismo delle atlete di vertice, che deve essere accompagnato da aiuti ai club - che siano la Juventus o il Tavagnacco nulla cambia - quali gli sgravi fiscali.
Intanto, il calcio femminile italiano si misurerà in Francia con l’elite mondiale: quali sono le squadre favorite per la vittoria finale?
Facile dire gli Stati Uniti campioni in carica, o la Francia che gioca in casa. O ancora tutte quelle nazioni che comunque sono partite prima di noi, ad esempio la stessa Germania. L’Italia comunque c’è, e va anche aggiunto che abbiamo fatto un buon cammino di avvicinamento.
Non solo: avete trovato una ct, Milena Bertolini, che sembra aver dato una svolta decisiva al percorso di crescita della Nazionale.
Milena Bertolini è un tecnico competente, che conosce a fondo questo sport. Che sia una donna non significa nulla nell’approccio con noi. Il calcio è calcio. E lei sa di calcio. Non solo. Il suo vice, Attilio Sorbi, è invece un uomo, ed è altrettanto bravo, così come ci sono anche altri uomini e altre donne nello staff azzurro: credo che ad aiutarci a crescere sia proprio questo mix tra i loro caratteri, le loro personalità. Donne e uomini: sensibilità diverse ma soprattutto grandi professionalità che fanno il nostro bene. —
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