La tratta delle cinesi sul confine tra Italia e Slovenia: fino a 16mila euro a donna

Altri gravissimi dettagli emergono dal fascicolo della Procura sul traffico di esseri umani dall’Oriente. Al valico di Rabuiese documentato il passaggio di 77 persone asiatiche. Molte giovani, anche minori
Gianpaolo Sarti
I controlli al confine di Rabuiese. Foto Massimo Silvano
I controlli al confine di Rabuiese. Foto Massimo Silvano

TRIESTE Passa per il confine di Rabuiese la tratta delle ragazze cinesi che si prostituiscono nei centri massaggi e negli appartamenti italiani, francesi e spagnoli. Anche minorenni, di quindici, sedici e diciassette anni.

La Rotta balcanica di cinesi e afghani: così Trieste dà un doppio colpo ai passeur

Un elemento, questo, forse il più drammatico, che emerge dalle carte giudiziarie della corposa indagine della Direzione distrettuale antimafia della Procura di Trieste. L’inchiesta della Polizia di frontiera, diretta dal procuratore Federico Frezza, ha portato a galla anche questa realtà. E tutto ciò che regge lo spaventoso traffico di esseri umani partiti da lontano per cercare un futuro migliore: chi per lavorare nel tessile, chi nei ristoranti. O chi, appunto, si trova poi nei giri della prostituzione.

Le cinesi della tratta liberate a Trieste: «Ora abbiamo paura»
Le ragazze cinesi filmate dalla polizia all’arrivo nel casolare veneto

Sullo sfondo la criminalità cinese di etnia Han e la piattaforma “WeChat” per comunicare. O, ancora, i 16 mila euro per i viaggi delle minori, costrette a vendere il proprio corpo per anni fino a saldare il debito con i boss. E, infine, i nomi – e anche i soprannomi – dei capetti, come il cinese che gestiva il casolare di Cazzago di Pianiga, provincia di Venezia, dove le persone venivano portate e smistate: Chen JinHai, 55 anni, che nell’ambiente era conosciuto come “Grande testa” o il “Grosso” per la sua corpulenza. Detto così fa quasi sorridere. Non fosse che in quella casa nascondeva «merce umana».

Migranti spediti dalla Cina in Italia per essere sfruttati 9 arresti a Trieste

Il crocevia di Rabuiese

Batte la rotta balcanica la criminalità cinese, con voli quotidiani. Tappa in Turchia e atterraggio in Serbia, senza controlli, grazie all’esenzione del visto. E quindi Bosnia, Croazia, Slovenia con le auto messe a disposizione dai criminali per portare le persone fino al confine di Rabuiese. È qui che lo scorso 8 maggio, dopo una prima operazione del 4 aprile a Fernetti, la Polizia di frontiera ferma un suv, una Bmw X1, con a bordo sei cinesi. Uno è nel bagagliaio. Il passeur, Dai JianBin, 34 anni, viene arrestato. Sembrava finita così. Invece no: l’organizzazione in Cina viene a conoscenza che qualcosa è andato storto e manda lo stesso giorno un altro passeur, Wu WenJie, 44 anni, a prelevare i sei clandestini con un Nissan X-Trail. Gli agenti lo intercettano.

Il centro di smistamento

Gli investigatori intuiscono che c’è poco di casuale in quel doppio transito e decidono di andare a fondo. Parte così l’indagine di Frezza: in pochi giorni gli agenti scoprono dove sono diretti quei suv con dentro cinesi che passano da Rabuiese: un casolare di Cazzago di Pianiga, tra Venezia e Padova, in via delle Cave. A quel punto la Polizia piazza le telecamere, documentando un via vai quotidiano di suv che portano e prelevano cinesi. Un centro di smistamento, con 27 letti, in cui le persone dimorano un paio di giorni prima di prendere la strada per Milano, Prato o l’estero.

Le minori

Nella Bmw fermata l’8 maggio dalla Polizia ci sono sei cinesi: cinque donne, di cui due ragazzine. Negli ambienti investigativi si ritiene ovvia la destinazione: centri massaggi, appartamenti. Il loro viaggio, come testimonierà una delle giovani, costa 16 mila euro. Un debito contratto con i boss di etnia Han, da pagare con il corpo.

Il “Grosso”

Il cinquantacinquenne Chen JinHai è l’uomo che gestisce il casolare di Cazzago. Nel giro è noto con il soprannome di “Grande testa” o “Grosso”. Uno dei passeur ha riferito di essere stato contattato da lui con la proposta di «andare in prossimità del confine (Rabuiese, ndr) a prendere delle persone» per condurle nella sua abitazione. Il casolare. O, ancora, in un bar di Cazzago, in piazza IV novembre, gestito da altri cinesi. Per ogni clandestino avrebbe ricevuto 50 euro. Ecco il prezzo del rischio per passare la frontiera vigilata dalla Polizia.

Telecamere, chat, arresti

Passeur, basisti e capetti comunicano con WeChat, l’applicazione più usata dai cinesi. Ma stavolta l’indagine non si è mossa su intercettazioni: pedinamenti e telecamere si sono rivelati efficaci per confermare la «brillante intuizione degli inquirenti», scrive il gip Massimo Tomassini nelle ordinanze di arresto. In meno di due mesi di indagine la Polizia ha documentato un via vai di 77 cinesi, tra cui molte ragazzine. Ventisette denunciati, 9 arrestati e 18 suv sequestrati per un’inchiesta che non si ferma. Ora gli investigatori puntano a scoperchiare l’impenetrabile mondo della schiavitù cinese.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © Il Piccolo