La torre e i 60 serbatoi, così viaggia l’acqua tra storia e modernità

Antiche vasche austro-ungariche e nuove tecnologie. È l’acquedotto Randaccio-Pozzi, che alimenta la rete idrica 
la torre piezometrica e, a destra, l’interno dell’impianto a santa croce
la torre piezometrica e, a destra, l’interno dell’impianto a santa croce

TRIESTE. Per chi torna a Trieste, una volta abbandonata l’autostrada e imboccata la Costiera, è il simbolo del ritorno a casa, ma al contempo ha anche un ruolo fondamentale: permette all’acqua di raggiungere tutte le case della città. La torre piezometrica di Sistiana è infatti uno dei luoghi che AcegasApsAmga custodisce e utilizza per il rifornimento della rete idrica, ma anche dell’energia elettrica. In un breve viaggio assieme ai tecnici della multiutility Il Piccolo oggi li racconta in questo reportage, che prende il via, appunto, da Sistiana, dove la torre è stata costruita nel 1929.

La sua funzione è quella di attenuare le variazioni di pressione dell’acqua che viene pompata verso la città, spiegano Roberto Cusmich, responsabile degli Impianti acqua di Trieste, e Stefano Trotti, capo dell’impianto Acquedotto Randaccio-Pozzi. Questo acquedotto - erede di quelli romani, Teresiano e di Aurisina - è oggi l’unico ad alimentare la rete idrica di Trieste che, per la sua configurazione orografica, si appoggia a una sessantina di serbatoi e stazioni di sollevamento. Il flusso parte dai 13 pozzi ubicati a San Pier d’Isonzo (l’80-90% della fonte principale) e le sorgenti di Sardos e Timavo, raggiungendo la città attraverso due condotte che si unificano all’altezza del cavalcavia di Barcola: la 900 (dal diametro in millimetri), che percorre la strada Costiera, datata anch’essa 1929, e la 1300, che dal 1970 da Randaccio raggiunge il Porto Vecchio.

Realizzato in occasione della costruzione della ferrovia che congiungeva Vienna e Trieste, risale invece a metà Ottocento il serbatoio di Santa Croce – Filtri, uno dei più antichi assieme a quello di Gretta. La struttura è visibile percorrendo il sentiero della Salvia. Al suo interno si scoprono le grandi vasche che venivano utilizzate per il filtraggio dell’acqua. Con la sabbia dell’epoca ancora presente, rappresentano oggi un esempio di archeologia industriale. Presenti sono anche le maioliche austro-ungariche, che caratterizzano ancora le stanze, tra cui quelle che un tempo ospitavano il laboratorio di chimica adibito alle analisi dell’acqua. Oggi le funzioni principali dell’edificio - che un tempo veniva monitorato su diversi turni, con il personale che viveva nelle case accanto, ora in parte in disuso - sono quelle di stoccaggio e sollevamento delle acque per alimentare l’area di Aurisina e Santa Croce.

A Gretta invece è presente uno dei principali serbatoi (del 1855) che, assieme alla stazione di sollevamento, rifornisce la zona Ovest della città, nella parte compresa tra il livello del mare e 50 metri di quota. L’acqua viene stoccata e pompata fino a Opicina. È possibile poi rintracciare nel cuore della città, sotto la scalinata della chiesa di Santa Maria Maggiore, cosiddetta “delle Medaglie d’oro”, una stazione elettrica di trasformazione. Disposta su tre livelli, con tanto di impianto di ventilazione, la stazione risale al 1958 e trasforma l’energia elettrica da 27.500 a 10.000 volt.

Confina con l’edificio sacro poi una cabina elettrica a bassa tensione, che lavora per un’ulteriore variazione: l’energia qui passa da 10.000 a 230 volt, utile per gli utenti finali che abitano a San Giusto. Curioso infine – come spiegano Paolo Manià, responsabile di Conduzione e manutenzione dell’energia elettrica, Giorgio Pobega, responsabile Impianti e reti alta tensione e Dario Sain, responsabile della Distribuzione energia elettrica di Trieste (media e bassa Tensione) - è che dallo stesso spazio in cui si trova questa cabina, chiusa da una porta e “benedetta” dalla presenza di un crocefisso, si accede ai sotterranei dei gesuiti. —


 

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