La svolta turistica del Pedocin promosso a “bene culturale”
TRIESTE. Il miracolo del Pedocin. Quasi un racconto di Natale. Antonella Grim, consigliere comunale ed ex assessore del Pd, definisce «miracoloso» il gesto del sindaco Roberto Dipiazza che sotto Natale, incassata la permuta della Sala Tripcovich in cambio di un magazzino alla Noghere, ha fatto proprie in blocco tre mozioni («Visto che è Natale...») tra cui quella dell’opposizione per il riconoscimento della “specialità” del bagno comunale La Lanterna universalmente conosciuto come Pedocin.
La mozione di Grim, sottoscritta anche dalla capogruppo dem Fabiana Martini e dal consigliere e vicepresidente del Consiglio comunale Igor Svab, era in lista di attesa da diversi mesi. «Si può così cominciare l’iter di valorizzazione di un luogo unico, amatissimo dai triestini e dal crescente interesse turistico: il Pedocin potrà diventare “bene di interesse culturale”, sarà protetto, curato e valorizzato», afferma Grim, che si è innamorata del bagno che più di cent’anni separa con un muro gli uomini dalle donne. La mozione, infatti, chiede alla giunta comunale «di iniziare le procedure necessarie per riconoscere il bagno La Lanterna comunemente detto Pedocin quale “bene di interesse culturale” e di rafforzare con le azioni necessarie, coordinandosi con gli operatori turistici, la valenza turistica del sito».
Un’iniziativa sulla quale, alla fine, si sono trovati tutti d’accordo. «Già in commissione - spiega l’esponente dem - molti consiglieri della maggioranza si erano espressi a favore. Si tratta, insomma, di un miracolo bipartisam. Dopo il passaggio a Cannes nel 2016 (con il film “L’ultima spiaggia” di Thanos Anastopoulos e Davide Del Degan, ndr) è un riconoscimento obbligatorio che aiuta a tutelarlo e valorizzarlo. Deve diventare un’attrazione turistica ed entrare nelle guide. È il simbolo della città e della triestinità», spiega Grim che aveva lanciato la proposta durante la campagna elettorale regionale al fianco del candidato Sergio Bolzonello.
A Trieste nessuno osa toccare il Pedocin. «Chi tocca il Pedocin muore», scherza l’assessore allo Sport (e quindi anche agli stabilimenti balneari) Giorgio Rossi, che proprio a inizio mandato aveva rischiato il linciaggio solo per aver solo ipotizzato la chiusura invernale del bagno. «È un luogo mitico. Persino il 31 dicembre alcune persone si sono ritrovate lì per farsi gli auguri e si sono scattate le foto. Non solo va riconosciuto come bene di interesse culturale, cosa che faremo, ma va inserito nelle guide e negli itinerari turistici del Comune. Si tratto di un unicum a livello europeo per la divisione dei sessi. Sulla sua valorizzazione tutti sono d’accordo: destra, sinistra e centro»
Il riconoscimento di bene di interesse culturale fa riferimeno al decreto legislativo del 22 gennaio 2004, il “Codice dei beni culturali e del paesaggio”. Il decreto prevede «che tutti i beni che siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre cinquanta anni, se mobili, o ad oltre settanta anni, se immobili, siano sottoposti all’accertamento dell’interesse culturale attraverso una procedura che prevede l’invio dei dati identificativi e descrittivi delle cose immobili e mobili ai fini della valutazione di merito da parte dei competenti uffici del ministero».
Il Pedocin risponde perfettamente alla richiesta anagrafica: risale al 1903 la costruzione, lungo il molo Santa Teresa oggi Fratelli Bandiera, da parte del Comune del primo stabilimento balneare pubblico, che prese il nome di bagno “alla Lanterna”, per la vicinanza alla lanterna collocata sul molo teresiano nel 1832 quale faro marittimo. Il nome Pedocin” invece ha un’origine più complessa: in triestino infatti “pedocin” può significare sia pidocchio che cozza. Nel primo caso il nome alluderebbe ai tempi di Francesco Giuseppe I d’Austria, quando la spiaggia veniva chiusa dalle 2 alle 4 del pomeriggio per permettere ai soldati di andare a lavarsi, a “spidocchiarsi” appunto.
Non vuol dire che il riconoscimento porti in dote automaticamente soldi. Ma sicuramente potrà diventare fondamentale per la sua tutela e la sua valorizzazione. Nessuno in futuro potrà pensare a una chiusura (neppure invernale) oppure all’abbattimento del muro di colore bianco lungo 74 metri e alto tre sopravvissuto persino al crollo di quello di Berlino. Nel 1943, in pieno secondo conflitto mondiale, si pensò di buttarlo giù. Ma i triestini in una specie di consultazione popolare si opposero. E così ora, 75 anni dopo, E non sarebbe davvero male se ora il luogo dello “spidocchiamento” austroungarico diventasse di “interesse culturale”. —
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